Salvatore Mannironi comente homine
A cinquant’anni dalla morte resta una figura con cui storicamente bisogna fare i conti
di Natalino Piras
Fannia Satta e il giovane Salvatore
6' di lettura
25 Aprile 2021

La narrazione di Salvatore Mannironi (Nuoro 1901-1971) comprende diversi registri.
Tanti i segni: avvocato, giornalista, scrittore, uomo politico della Democrazia Cristiana, deputato, senatore, sottosegretario, ministro dei Trasporti. Su tutti, il segno portante è la militanza nell’Azione Cattolica, un cristianesimo che mai è limite e che stabilisce sempre un oltre, una prospettiva.

Da giovane, Salvatore Mannironi fu segretario a Nuoro del Partito Popolare di don Sturzo, al tempo che il fascismo diventava regime.
Le linee guida per i cattolici di Nuoro e dintorni, un’etica comportamentale che passava dal tiepido all’ostile, contro la dittatura, le dava allora il coraggioso vescovo monsignor Giuseppe Cogoni. Come redattore de L’Ortobene, la cui tipografia fu per qualche tempo chiusa, come scout, movimento disciolto, come oppositore, Salvatore Mannironi sta tra l’antifascismo e quello che lo storico Raimondo Turtas, gesuita, definisce “afascismo”. Così recita una voce della Grande enciclopedia della Sardegna (2007): «Alla ripresa della vita democratica, dal 1944 al 1949, Salvatore Mannironi fece parte della Consulta regionale. Fu eletto alla Costituente, dove fu molto attivo nella stesura dello Statuto regionale sardo. Successivamente fu eletto deputato nella I legislatura repubblicana».

Visita del sottosegretario ai Trasporti Salvatore Mannironi alla Fiera Campionaria di Milano del 1964 (ph Archivio storico Fondazione Fiera MIlano)

Sarà da allora una continua presenza la sua nella vita democratica del Paese, Nuoro, il luogo delle radici e del suo romanzo di formazione, sempre al centro. Mi è capitato di sentire, anche in ambito familiare, per dire del carisma ma pure del potere politico del personaggio: «Cusse est a tu per tu chin Mannironi». Una persona con cui, storicamente parlando, bisogna fare i conti. Nel libro Pitzinnos Pastores Partigianos eravamo insieme sbandati, che è pure un dizionario degli antifascisti sardi, racconto una storia più volte narrata. Inizia con lo sbarco segreto, nel gennaio del 1943, in piena seconda guerra mondiale, a capo Sferracavallo, località Sarrala, in quel di Tertenia, di due agenti alleati. Vengono da Londra e si dice che a muovere molte cose ci sia Emilio Lussu, esule nella capitale britannica. Uno dei due agenti è sardo, Salvatore Serra di Solarussa, ex carabiniere e tante altre avventure. L’altro aveva nome in codice Armstrong. Loro compito è depistare, fare credere che avverrà in Sardegna lo sbarco che poi sarà, il 6 giugno 1944, in Normandia. Traditi da tutta una serie di ingenuità e circostanze sfavorevoli, i due agenti furono subito catturati, “tentos che cuccos”. Tra le altre cose, a Serra, gli fu trovata addosso una mappa di luoghi e una lista di nomi, gente con cui entrare in contatto per organizzare il sabotaggio contro il regime già in forte crisi. Nell’elenco figurava anche Salvatore Mannironi.

Dice la memoria popolare, e c’è conferma di questo nel libro Il dio seduto (1978) di Francesco Spanu Satta, che lo sbarco a Sarrala fu preceduto da lanci di paracadutisti nella zona della campagna nuorese di Isalle e Sa Serra dove avevano proprietà i fratelli Mannironi, Salvatore e Cosimo. Il nome della vallata compare anche nella lettera trovata addosso ai due sbarcati a Sarrala che l’ingegnere Dino Giacobbe, esule a Boston dopo la fine della guerra civile spagnola (1936-1939) indirizza a Londra, a Emilio Lussu. La lettera è datata ottobre 1941. «In direzione di Monte Albo, c’è un’antica strada mulattiera che ne segue le pendici meridionali in direzione di Nuoro. Nella valle di Isalle, dove termina la strada carrozzabile di Orune, trovasi un predio appartenente al dottor Ennio Musio, veterinario di Orune e Bitti. Questi è un grande ammiratore tuo e un uomo tra i migliori che esistano in Sardegna. Un idealista pronto a qualunque cosa. Sul versante opposto della valle c’è un altro predio. È di proprietà dell’avvocato Salvatore Mannironi, un giovane quadrato, se mai ce n’è stati, il capo dell’Azione Cattolica in Sardegna, cugino di mia moglie, sardo di quegli antichi, devotissimo di Mastino e Oggiano, amico fraterno di Giovanni Battista Melis». Ennio Delogu viene arrestato a Bitti, i Mannironi e il loro mezzadro Sebastiano Mereu, a Nuoro. Contemporaneamente i ferri ai polsi vengono messi al pescatore Francesco Ogno e al figlio Domenico a Santa Lucia di Siniscola. A Orune invece fu arrestata Margherita Sanna. A Lanusei la polizia perquisì studio e abitazione dell’avvocato Anselmo Contu. I Mannironi, Mereu e Delogu furono portati in catene a Oristano. Da qui a Roma, carcere “Regina Coeli”. Poi a Isernia, in un campo di concentramento. Il 25 luglio di quell’anno cadde Mussolini ma i nuoresi continuarono a restare prigionieri fino al 10 settembre, due giorni dopo l’armistizio. Per tornare in Sardegna il gruppo visse un’altra odissea. Dopo aver attraversato il fronte e le linee di fuoco nel Molise e nella Puglia raggiunsero Bari e poi Brindisi. Da qui, imbarcati su un aereo militare, furono a Cagliari il 10 novembre. Nessuna passione spenta nella rievocazione di questa pagina di storia. Lo rivela l’articolo che Salvatore Mannironi scrisse per La Nuova Sardegna, 17 febbraio 1962, alla morte di Ennio Delogu: In memoria di un amico.

Ma, a dire di Mannironi comente homine vale molto un passaggio autobiografico in Lettere a Fannia (1990), la fidanzata che diventerà sua moglie. Quel racconto Salvatore Mereu lo ha fatto diventare film: Prima della fucilazione (1997). Siamo nel 1936. È l’ultima notte per il bandito Antonio Pintore che l’indomani sarà fucilato a Prato Sardo. Va a trovarlo in cella il suo avvocato difensore, Salvatore Mannironi che si è battuto sino alla fine per la concessione della grazia. Ma grazia non poteva essere concessa e questa impossibilità Mannironi deve comunicare al condannato.
Sono pagine che riflettono sull’inutilità della pena di morte, forti come nel De profundis, quello di Oscar Wilde e quello di Salvatore Satta, come nei romanzi di Sciascia al riguardo. Sono testimonianza indelebile di come si è, persona come prassi politica e coscienza della storia, nel proprio tempo.

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