Quei camionisti diretti a S’Annossata
Periculosu, Medelle e i viaggi tra salite, discese e baratri: «Non bombetas»
di Natalino Piras
Il camion di Medelle verso l'Annunziata nel 1952 (Foto di Modesto Bitti)
5' di lettura
12 Giugno 2023

I loro nomi sono una parte fondante il mito paesano quando novenanti, pellegrini e diversa altra gente della festa, grandi e bambini, avevano come meta il Santuario dell’Annunziata, in fondo alla valle, sotto il livello del mare, che iniziava dalle alture della colonia penale di Mamone e scendeva sino al  confine  del territorio di Lodè. Bitti distava ben oltre trenta chilometri.  

I nomi, di più i soprannomi, sono quelli dei camionisti che guidavano i loro 42 di colore verde cotto, oppure Tigrotti e Leoncini grigi e rossastri, i cassoni carichi oltre il lecito di gente festante, elevanti preghiere e gosos. Sopra la  cabina si collocavano i fucilieri, rigorosamente in fustagno e camicia a maniche arrotolate, bonette a sghimbescio, qualcuno si attaccava agli sportelli, la cartucciera incrociata sul petto, le gambe accavallate per trovare chi sa quale precario equilibrio, quasi sempre ebbri. Continuavano a bere dallo stesso corno. Qualche improvvisato corfu ‘e tenore, pure se non così concorde, si levava qua a là. Poteva essere per loro mattina o sera. I fucilieri avrebbero  sparato a  salve come se fossero all’assalto nel Carso appena varcato il confine del Santuario e molto di più al ritorno in paese, annunciantisi già dalle curve di Palas Nieddas, il martedì dopo la festa grande, la penultima domenica di maggio. 

In cabina, saldi al comando, sanos o imbreacos pure loro, il volante come estensione naturale del corpo, i vari Chellerone, Busedda, Battista ‘e Lunzinu, Battore ‘e Nanne. Su tutti loro, i nomi-mito: Medelle e Periculosu. È con la loro imago che la memoria  riattraversa il tempo dell’Annunziata ma pure la geografia storica e antropologica dell’interno e della costa della Sardegna di quel tempo, percorsa dalle ruote dei loro camion, niente in confronto ai tir nostri contemporanei ma che allora apparivano giganti, pronti a trasformarsi in mostri per le paure dei bambini. La festa tutto ricomponeva.

Medelle nessuno sapeva che fosse all’anagrafe Diego Burrai. In Goceano lo conoscevano per altre gesta come Pilu Ruzzu ‘e Veranu: capelli rossi tagliati a spazzola, occhiali da sole inforcati in testa, camicia a quadri, un tratto insieme audace e signorile. Aveva nel fare e nel guidare una certa eleganza. Tutti, grandi e bambini, quanti la mattina salivamo sul camion per l’Annunziata, avevamo estrema fiducia in Medelle. Ci avrebbe condotti in porto e riportati sani e salvi. Una fiducia rafforzata dal refrain, sa torrata, dei gosos cantati in coro a voce alta, con grande fede: Amparadenos SegnoraVirgo de S’Annunziata. Quale più grande protezione. 

Valeva anche per Periculosu, Chircheddu Chessa, che a dispetto del nome era pure lui di guida sicura. A differenza di Medelle la sua era più una postura da uomo di campagna, abiti da massaiu,  su bonette a visiera un poco sollevata.   

Il viaggio periglioso era fatto di asfalto e sterrato, pietraie sconnesse e camineras, risalite e ridiscese vertiginose, curve cieche collocate su autentici baratri, una terra sospesa nella macchia mediterranea che appariva e scompariva per ridiventare irraggiungibile orizzonte. Sino al raggiungimento della meta.

Il giorno de S’Annossata si partiva all’alba, da Piazza Nova, Piazzedda ‘e Leone o Piazzedda ‘e Marcatu di Bitti. Saremmo arrivati in tempo per la messa solenne. Anche noi bambini ci arrampicavamo o venivamo spinti sopra il cassone dei camion dove erano stati sistemati come seitoglios, uno di fronte all’altro, due banchi da chiesa oppure due tavoloni de carchi vraicu, così allora chiamavano i cantieri edili. Era già primavera inoltrata ma il freddo non era ancora finito. I bambini eravamo in calzoni lunghi e maglione. Ci saremmo alleggeriti all’arrivo, ché là, in fondo alla valle, nel Santuario il caldo era davvero infernale. Prima di avviare il motore ciascun camionista avvertiva i passeggeri che gli erano toccati, specie noi bambini: «Istate seitoschircate de achere a bonose non timetas!». Un poco più carica, l’aggiunta o la variante, a seconda, dell’ultima avvertenza di qualcuno tra i camionisti meno tollerante degli altri, retranchi curzu: «Non bombetas!».

Partivano  sincroni, un avviarsi lento nelle strade del paese della teoria dei camion, apripista, in alternanza, appunto Medelle e Periculosu.

Alla festa, dopo la messa solenne, la chiesa affollata come non mai da fedeli provenienti da ogni dove, quanti non avevamo una cumbessia di amici o parenti come posata mangiavamo sas cosas vonas già preparate giorni prima da mamastzias e manneddas, al riparo sotto alberi secolari tutti intorno al Santuario. 

Al ritorno del martedì dopo la festa grande, la fila dei camion risaliva le curve de s’Adde con il muso meccanico infiorato di ferula fresca. Giunti sulla cima, le guardie della colonia penale di Mamone intimavano l’alt e si arrampicavano sulle sponde per controllare che  in cassone non si fosse nascosto qualche detenuto in fuga. Nessuno scappava in quei giorni. Sarebbe stato come violare un patto con Nostra Segnora ‘e S’Annossata la cui forte devozione tutti accomunava, tutto teneva insieme in quel tempo lontano.

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