La volta che comprai l’intero catalogo di tiu Cuccu
L’esposizione dei libri seguiva il suo criterio, un misto di conoscenza e di intuizione mercantile. Quanto non era visibile lo avrebbe preso da dentro la sua Panda parcheggiata accanto
di Natalino Piras
I libretti editi da Antoni Cuccu (ph Biblioteca Comunale "A. Cuccu" di Villa Verde
5' di lettura
17 Maggio 2022

Erano gli inizi del Duemila. Passavo in Viale del Lavoro, a Nuoro, dalle parti di quanto era stato il cinema-teatro Ariston. Mi sono fermato. Antoni Cuccu, di San Vito, stava là con la sua mercanzia di papiros e libreddos, la maggior parte di poesia sarda, tutta in rima, quella che rafforza sa retentiva, la memoria dei nostri paesi.
L’esposizione dei libri di tiu Cuccu, quel giorno a Viale del Lavoro, seguiva il suo criterio, un misto di conoscenza e di intuizione mercantile: quanto poteva colpire la curiosità del passante ma anche di chi già sapeva di quali titoli poteva disporre quel venditore di poesia: quanto non era immediatamente visibile, tiu Cuccu, a richiesta, lo avrebbe preso da dentro la rabberciata Panda, parcheggiata lì accanto, il mezzo che aveva sostituito la classica Bianchina. Il venditore prendeva la merce da una qualche cassetta di legno, somigliante a quelle dei girovaghi della fortuna, in un tempo neppure così lontano. Di tutto questo gioco di scambi Antoni Cuccu era consapevole. Sapeva come recitare la parte, lui che di molti di quei libretti era oltre che distributore anche editore. Pure interprete. Come in un teatro di strada, sapeva recitare pezzi di Antoni Cubeddu e Remundu Piras, Pitanu Morette, Gavinu Contene e Zuseppe Pirastru, intere ottave de Sa mundana cummedia di Salvatore Poddighe, Peppino Mereu, Montanaru e altri. Notevole, in quei libretti venduti a prezzi modici, la quantità di gare poetiche, fedelmente ritrascritte e stampate alla maniera di fogli volanti, i diversi temi, sas modas, messi in risalto così come sos cantadores, sorta di autentici eroi contemporanei: Tuccone, Barore Sassu, Zizi e tutti gli altri.

Antoni Cuccu

Ero davanti ad Antoni Cuccu quel giorno. Ci conoscevamo già. Lui sempre mi dava del tu, io del voi, qualche volta ricorrevo a un più identificante tiu.
Era un uomo scorbutico, diffidente, specie con chi considerava intellettuale. Laconico, secco come un’acciuga, dimesso nel vestire, semprer in bonette, mal sopportava di essere visto quasi come un personaggio folclorico.
C’è un episodio a conferma di questo travagliato rapporto. Tiu Cuccu davanti ai suoi libri stesi come in bancarella compare nella copertina del volume La poesia dei poveri (1997), opera di Salvatore Tola, un manuale sulla produzione poetica in Sardegna, specie quella che passa dall’oralità alla scrittura. Un libro di pregevole fattura che avevamo presentato dandogli molto risalto alla Biblioteca Satta. Tiu Cuccu, me lo raccontò lo stesso Salvatore Tola, molto aveva protestato per quella foto. Quell’immagine di copertina la sentiva come un’usurpazione, una violazione, non gli era stato richiesto alcun permesso. E dire che proprio sulla fotografia nel libro di Tola avevo relazionato a lungo il giorno della presentazione, mettendola al centro di un discorso che voleva essere insieme storico, filologico e di critica letteraria. Chi sa cosa erano andati a riferire a tiu Cuccu. Mi resi conto, quel giorno in Viale del Lavoro, che di tutto quanto avevo detto su di lui, un’immagine diventata icona, lui tutto sapeva. Rispose freddo al mio saluto, continuando a togliere e spostare, mugugnando, servendo i diversi passanti che si fermavano per acquistare questo o quel libretto. Di alcuni titoli dava esaurienti spiegazioni, più del dovuto. Si vedeva che voleva ignorarmi, farmi sentire a disagio. Stavo lì, come impalato. Mi dispiaceva andarmene bastonato.

Fu la Biblioteca Satta, di cui ero dipendente, a darmi l’illuminazione giusta. Valutai a occhio la consistenza del patrimonio librario che avevo davanti, la merce che tiu Cuccu si portava appresso, la sua casa in fondo. Appena fu possibile gli proposi di far acquistare dalla Biblioteca l’intero catalogo. Lui non mostrò né interesse né meraviglia. Continuò a guardarmi come di sottecchi e allora rinnovai l’offerta.
Passò qualche minuto e tiu Cuccu domandò se il pagamento sarebbe stato immediato. «Non dipende da me» risposi «ma penso che si possa attingere da qualche fondo economato, si bos ponites in preju, si no’ nch’essites in nughes! Cantu costat tottu?».
Tiu Cuccu rispose con calma: «Trecentus, in euro».
L’indomani avvenne la transazione. In poco tempo i 135 titoli di così repentina materializzazione nel patrimonio della Satta vennero catalogati e messi a disposizione del pubblico, nel Fondo Cuccu, in Sezione Sarda. Venivano ad aggiungersi ad altre acquisizioni e donazioni.

Tiu Cuccu, editore-venditore di libri sardi, è morto nel 2003, a 82 anni. Per qualche tempo il suo ruolo e la sua opera li ha continuati il senegalese Cheikh Tidiane Diagne, appartenente alla cultura dei Griot, i cantastorie africani che si trovavano ai crocicchi delle strade, fuori dal villaggio, tutte dirette al cuore delle narrazioni popolari come sapienza, come bellezza del mondo, se gli uomini lo sanno abitare.

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