Antoni Gasole, ucciso dalla bomba
1924, i giornali non dicono che la bomba era un residuato bellico. Qualcuno, tornato dalla Grande Guerra, l’aveva abbandonata, per disfarsene, a Badde Longa.
di Natalino Piras
Antoni Gasole, matita di Antoni Peppe Piras
6' di lettura
22 Gennaio 2023

La storia di mio nonno Gasole torna sempre al tempo dei falò di Sant’Antonio abate. Antoni Piras, Gasole, era mio nonno paterno e io non lo ho mai conosciuto. Sono venuto al mondo quasi trent’anni dopo la sua morte. L’unico ritratto che di lui resta è il disegno a matita opera di un suo nipote di secondo grado, Antoni Peppe Piras, La casa che fu di Gasole c’è ancora a Monte Mannu, affacciata in un vicolo chiuso popolato da numerose altre abitazioni di campatoresmassaios più che pastori e altra gente di campagna. Gasole era vestito di rustico, in carzones birritta come altri suoi vicini. Come tziu Bobore Tola maestro di beffe, molte brullas de rotta ‘e carru, inutilmente crudeli. Qualche volta le mamme che dovevano recarsi al cantaro per l’acqua o al fiume per lavare i panni gli affidavano i bambini. Al ritorno li trovavano strillanti, un mare di pianto. «Come mai tziu Bobò?». «E cosa vi dico? Non ci stanno con me i bambini. Non b’appo manu.» Per forza: in assenza delle madri, tziu Bobore ai bambini gli sfregava il sedere sul muro grezzo, sulla nuda pietra. 

La casa che fu di mio nonno Gasole esplose un giorno di buio autunno. Era il 1924 e di quella tragedia restano notizia e omissioni nelle cronache dei due organi di stampa allora esistenti in Sardegna. C’è una corrispondenza del primo novembre, giorno di tutti i Santi di quel 1924, da Bitti, nel periodico “Giornale di Sardegna” di Cagliari. Il pezzo, senza firma, è titolato Scoppio di una bomba.  Risulta in cronaca di Sassari. «Certa Giuseppa Piras coi figli Giuseppa e Sebastiano Prospero si sono recati in campagna per cogliere dei funghi. Il Sebastiano Prospero fra l’erba raccolse uno strano oggetto che gettò subito violentemente per terra. L’oggetto che poi era una bomba esplose con intenso fragore ferendo abbastanza gravemente i tre infelici. Questa è la versione generalmente nota. Ma noi si fa questa semplice domanda: Come mai questa bomba si trovava in aperta campagna? Sarebbe il caso che l’autorità indagasse in proposito». Così invece nella “Nuova Sardegna” di Sassari, testata soppressa dal fascismo proprio quell’anno. Anche qui il pezzo, datato 30-31 ottobre, è senza firma, collocato in cronaca di Sassari, incastonato sotto la 49ª puntata del “grande romanzo” La Dama Turchina di William Le Queux. Verrà ripubblicato il 5-6 novembre a fianco dell’annuncio della morte a Sassari del sarto Angelo Tomè, verso cui fu debitore Sebastiano Satta che così ne parla nei suoi Canti: «Quando Tomè mi vede tremo da capo a piede, quando mi vede Tomè tremo da capo a piè». Il poeta-avvocato-giornalista, perennemente in bolletta, non pagava al corpulento e gaudente sarto l’abito fatto fare su misura.

Così la notizia della bomba: «Certa Giuseppa Piras fu Francesco d’anni 42 da Bitti ed ivi domiciliata, l’altro ieri insieme ai figli Giuseppa di 10 anni e Sebastiano Prospero di 14 si recarono in aperta campagna per raccogliere dei funghi. A un tratto il figliolo Sebastiano Prospero trovò per terra una bomba Sipe e la lanciò contro un masso, la bomba scoppiò in fragore ferendo i tre disgraziati, i quali grondanti sangue furono accompagnati in paese per avere ricevuto i primi soccorsi, e poscia furono inviati a Sassari e ricoverati nel nostro ospedale. I medici riscontrarono a Giuseppa ferite multiple in tutto il corpo, guaribili in 30 giorni salvo complicazioni. Al Sebastiano Prospero furono riscontrate ferite multiple alla faccia, al padiglione dell’occhio destro guaribile in 15 giorni e alla madre Giuseppa Piras furono riscontrate ferite in tutto il corpo, frattura esposta al 3° inferiore di sinistra, ferita alla faccia con corpi estranei nella cornea, e giudicata guaribile in 30 giorni salvo complicazioni». 

I giornali manco lo nominano Antoni Gasole. Non dicono che la bomba era un residuato bellico. Qualcuno, tornato dalla Grande Guerra, l’aveva abbandonata, per disfarsene, a Badde Longa, territorio a confine con l’agro di Onanì. I due giornali non parlano della morte di Gasole. 

Quel giorno di pieno autunno mio nonno e mio padre, Sebastiano Prospero, erano andati a fare legna a Badde Longa. Videro un oggetto luccicare nell’erba. Furono attratti dae su lampore, dal luccichio, dal suo inganno. Raccolsero l’oggetto, lo misero dentro una bisaccia e si portarono la morte dentro casa. Fu mio nonno, a famiglia riunita intorno al misterioso oggetto, a togliere la sicura alla bomba. L’esplosione lo dilaniò. Mia nonna Giuseppa morì un anno dopo per le ferite. Segni, cicatrici visibili sono rimaste sui corpi e sui volti di mio padre, di mie zie Giuseppa e Giovanna Rosa. 

Altre volte, altri residuati bellici sarebbero esplosi in paese. Avrebbero portato ancora morte, giovani, ragazzi, poco più che bambini, a Cuccureddu, a Buntana ‘e Chiseddu.  Un ricordo dalla mia infanzia, anni Cinquanta, sono i manifesti a sfondo blu in s’iscolasticu di via Minerva e sui muri delle case. C’erano raffigurati oggetti di diversa forma, penne, scatole, cose sferiche, tutte luccicanti. E un’avvertenza: non raccoglieteli da terra. Uccidono. Fu in quel tempo che mi raccontarono la storia di mio nonno Gasole che la guerra si portò via, una guerra che avrebbe dovuto essere già finita. 

La casa di Monte Mannu fu venduta anni dopo a una famiglia numerosa. Ora è nuovamente disabitata. Fa parte dell’abbandono, della catastrofe antropologica che rende spopolati interi vicinati del paese.

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