Con gli occhi dell’altro
La guerra dal punto di vista dei vinti
di IV B Liceo Classico Nuoro
Banksy, Borodyanka, Ukraine (2022)
10' di lettura
7 Aprile 2024

«Ahimè signore, ahimè per il nostro bell’esercito perduto […] la terra geme sui giovani morti […].» (Eschilo, Persiani, vv. 917 ss.).

«L’Altro uomo non mi è indifferente, l’Altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola “riguardare”. In francese si dice che “mi riguarda” qualcosa di cui mi occupo, ma “regarder” significa anche “guardare in faccia” qualcosa, per prenderla in considerazione». Emmanuel Lévinas

«Nel semplice incontro di un uomo con l’Altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione, nell’“epifania” del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’Altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto». 
Emmanuel Lévinas

Le profonde parole di Emmanuel Lévinas (1906 – 1995), il filosofo dell’altro, ci dicono che nel volto dell’altro possiamo scoprire che il mondo è nostro nella misura in cui siamo in grado di condividere con l’altro (Totalità e infinito, 1961). Il senso del volto dell’altro diviene una sorta di antidoto contro ogni forma di odio, di discriminazione, di violenza, per affermare una autentica humanitas. Ciò che caratterizza l’uomo in quanto tale è proprio una dimensione etica: la capacità di infrangere l’egoismo e di rispondere alla domanda dell’altro, ovvero di esserne responsabile. “Altro” deriva dal latino alter che ci richiama alla parola alterità: tutto ciò che è altro, che è diverso, a volte ci spaventa ma anche ci obbliga ad uscire da noi stessi per riconoscere e accettare. Per divenire prossimi, ossia per creare vicinanza, quindi per comprendere. In un mondo dominato ieri come oggi dalla violenza della guerra ci piace credere che questa riflessione possa contribuire a sollecitare l’attivazione di una sempre maggiore forma di consapevolezza.  

A partire da questa riflessione si dipana significativamente il percorso di seguito proposto. Il sintetico itinerario, che si è inteso condividere, è dedicato al tragediografo greco Eschilo (V.sec. a. C.) interpretando i suoi personaggi come nostri contemporanei, per far riflettere circa la tematica della guerra, della sofferenza, del dolore considerato dal punto di vista non dei vincitori ma dei vinti. Nella convinzione profonda che a distanza di tanti secoli la tragedia di Eschilo ancora ci interpella e ci riguarda da vicino, intendiamo offrire ai lettori una sorta di invito alla lettura di Eschilo: le sue tragedie continuano a parlarci, attraversate come sono da temi universali: il dolore, il conflitto, il bene e il male, la colpa e l’innocenza, la scelta e la responsabilità dell’uomo… la guerra. 

Nel nostro mondo, oggi come ieri purtroppo dominato da guerre, tensioni, conflitti, le scene di sangue spesso rischiano di renderci quasi anestetizzati davanti al dolore altrui. Il teatro greco è capace di stimolare l’immaginazione e l’immedesimazione nell’altro, l’empatia, al fine di renderlo vivo, dargli un volto. Un volto da vivere come una parte di noi. A partire dalla tragedia I Persiani. L’opera è un potente e straziante ritratto delle atrocità della guerra e delle sofferenze delle vittime. La raffigurazione dell’’angoscia e dell’ingiustizia dell’azione militare brutale viene richiamata dal famoso verso «la guerra ama generare la guerra». La violenza e la brutalità della guerra generano un ciclo interminabile di conflitti e sofferenze umane, dobbiamo al grande tragediografo ateniese una rappresentazione particolarmente efficace e nello stesso tempo profondamente toccante delle atrocità della guerra: nel 472 a.C., a qualche anno di distanza dalla vittoriosa conclusione della seconda guerra persiana, mise in scena I Persiani. In modo davvero geniale Eschilo ambienta la tragedia non ad Atene, ma nella reggia persiana, L’atroce disfatta dell’armata di Serse nella battaglia di Salamina viene raccontata in tutto il suo orrore, rappresentando così la guerra e il dolore di un popolo dalla parte dei vinti, attraverso gli occhi dei Persiani. Gli occhi dell’altro: a suggerire l’idea che l’altro, il nemico, non deve essere deriso o umiliato ma considerato invece degno di compassione. Un esercizio di umanità che possiamo fare nostro. Il grande sovrano Serse troverà la sconfitta. Forse nello spazio di un solo istante si rende conto che la sua espansione è giunta al termine e che tutto il suo piano di conquista e di vittoria era solo un’illusione. Intanto le donne persiane piangono addolorate i mariti, o i fratelli, o i figli, che sono partiti in guerra per combattere contro la Grecia. Forse sanno che molto probabilmente non li rivedranno mai più e che quindi sono ormai destinate a rimanere sole. E poi il dramma di Atossa, regina dei Persiani, madre sia del re che del suo popolo, coinvolto in una guerra destinata a portare solo strazio e morte. 

In tutte le sue opere Eschilo richiama alla nostra attenzione il tema universale del dolore, considerato dalla parte dei vinti, degli innocenti. Ed ecco allora nella tragedia Agamennone il dramma di Ifigenia, figlia bambina di Agamennone e Clitemnestra, uccisa dal padre e dai ministri, per ottenere la vittoria nella guerra contro i Troiani: le vere vittime della guerra sono i bambini, proiettati in situazioni causate dalle decisioni degli adulti, senza potersi ribellare.  Ed ancora il dolore di Clitemnestra, una madre straziata dal dolore di vedersi privata di sua figlia per «ragioni di stato» che non condivide. Clitemnestra seppur poi colpevole dell’ omicidio del marito Agamennone, il quale è a sua volta colpevole del sacrificio di sua figlia Ifigenia, è costretta a vivere il dramma di una tragica morte, ed è anch’essa una vittima degli orrori della guerra. Immaginiamo la figura di Clitennestra che oramai invecchiata, brutta, triste e carica di vendetta contro suo marito Agamennone, che le ha portato via la sua primogenita Ifigenia, ripensa alle sue disgrazie. Troppi mali ha dovuto sopportare, come anche veder rientrare il marito con un’altra donna più giovane e bella di lei. La immaginiamo mentre costantemente ripensa alla figlia: «Lei (Ifigenia) stava prostrata, il muso a terra: le imbavagliarono la bella bocca …Violenta la forza di quel morso che la ammutoliva. Le vesti erano già una macchia tinta di croco, sparse per terra»(Eschilo Agamennone, 104-257). Molte sono le fanciulle e le donne che come Ifgenia subiscono violenze…Umiliazioni ancora oggi vengono perpetrate contro di loro poiché ritenute un oggetto di cui si possa abusare o di cui fare ciò che si vuole, semplicemente per soddisfare un puro piacere maschilista. La limpidezza e la purezza, valori morali fondamentali, non vengono più seguiti, nemmeno “guardati”, come anche l’amore (in questo caso Agamennone, freddo, non bada nemmeno agli occhi supplici della figlia), divenuto uno sporco mezzo, non un sentimento. Come si fa soltanto a ferire, cominciando dall’animo, quel “fiore” giovane, come colorato da tinte vivide, che in un quadro si estendono delicatamente sulla tela? Ifigenia, imbavagliata, lancia pietose occhiate al padre e ai sacerdoti che l’avrebbero uccisa, mentre ripensa a tutte le volte in cui aveva celebrato il genitore con il suo amore. Così la sua figura può corrispondere a quella della giovane Saman Abbas, uccisa dai propri familiari, che, come Agamennone hanno anteposto la cultura e le norme della propria comunità alla libertà e alla vita della figlia. Possiamo quindi ritrovare la figura dei vinti sia nella giovane uccisa, sconfitta nel diritto alla vita e alla libertà, ma anche nei suoi carnefici, sconfitti in quanto hanno perso la loro umanità. 

Ancora oggi, a distanza di secoli, le vere vittime della guerra sono i bambini, innocenti proiettati in drammi causati dalle decisioni degli adulti, a cui non possono ribellarsi. Eppure la semplicità e l’innocenza dei bambini sono la salvezza dell’umanità. Spesso, quando si parla di guerre, si parla principalmente dal punto di vista dei vincitori, celebrando le loro vittorie e successi e ignorando le sofferenze dei sconfitti. Questa riflessione ci invita invece a considerare come l’esperienza della guerra è percepita e vissuta da coloro che perdono. Innanzitutto, ci invita a riflettere sul fatto che la percezione della guerra è profondamente soggettiva. Mentre i vincitori possono celebrare la loro vittoria e giustificare le loro azioni, i vinti devono affrontare la devastazione, la perdita e la delusione. Questo sottolinea l’ingiustizia e la sofferenza che solitamente accompagnano la sconfitta. Dalla prospettiva dei vinti, la guerra è estremamente dolorosa e ha conseguenze durature che influenzano le generazioni future. 

Riflettere sulla guerra dal punto di vista dei perdenti ci fa comprendere meglio la complessità e la tragica umanità di questo fenomeno. Ci spinge a considerare le conseguenze a lungo termine delle guerre e ad impegnarci nella prevenzione dei conflitti, nella ricerca della pace e nella cooperazione internazionale. Ci viene in mente un murales situato sulla parete di un edificio distrutto dai bombardamenti a Borodynanka, nei pressi di Kiev. È stato realizzato da Banksy, uno degli street artist più celebri al mondo, la cui identità è sconosciuta. Questo murales è incredibilmente toccante e commovente poiché raffigura una bambina danzante che si trova in equilibrio su una crepa di un edificio che si innalza sopra di lei, in tutta la sua altezza, sotto forma di macerie, macerie ammassate. Colpiscono i colori, grigi, bui, tristi, e il contrasto fra un’azione così divertente e dinamica e il contesto di morte e rovina. Colpisce il coraggio di una piccola bambina che dinnanzi alla fine, genera un inizio: non è un’immagine di dolore, ma di danza, di grinta, di forza. Trovare l’equilibrio su una crepa del muro significa incerottare le ferite della guerra attraverso l’amore, l’unico farmaco in grado di allontanare dal male. Pare così che quello di Banksy sia un messaggio di conforto alle vittime della guerra, affinché in mezzo al buio più profondo possano intravedere una graziosa fanciulla che danza. 


A cura degli alunni della classe IV B

Coordinamento didattico Venturella Frogheri

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