Gesù ci rialza dal dolore della morte
Commento al Vangelo di domenica 26 marzo 2023 - V Domenica di Quaresima - Anno A
di Michele Pittalis
4' di lettura
26 Marzo 2023

Siamo giunti all’ultima domenica di Quaresima e la liturgia domenicale ci riserva un’altra pagina splendida dell’evangelista Giovanni, in cui morte e vita si scontrano, quasi un preludio del duello pasquale. È il testo della risurrezione di Lazzaro, di Betania, l’amico di Gesù, fratello di Maria e di Marta. Lazzaro significa “Dio rialza”, Betania significa invece “casa del dolore”.

La profezia di Ezechiele, offertaci dalla prima lettura, è una parola in cui Dio stesso si mette in gioco: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio». Accanto alla tenerissima reciprocità tra Dio e il suo popolo, “popolo mio”, Dio si mostra come tale soprattutto nel momento in cui dona la vita. Donare la vita è un suo “gesto tipico” ed è proprio nel far entrare in noi lo Spirito per la vita nuova che Lui si rivela. Lo stesso Spirito, che Dio insufflò nell’uomo plasmato dalla terra al principio della creazione, è in Ezechiele l’artefice di una “nuova creazione”. Lo Spirito è ridonato in abbondanza al popolo perché riprenda a vivere in un modo nuovo e vero.

Far uscire dalla tomba: solo la parola potente e creatrice di Dio può capovolgere l’oscurità della morte, il putridume della corruzione, in un’alba di novità e di pienezza. L’azione dello Spirito rende la vita alle “ossa aride”, riporta la vita nel silenzio oscuro della morte del cuore, dona cioè il perdono che vince il peccato. Il peccato è morte; il perdono, che Dio sempre ci offre come impossibile possibilità dell’amore, è vita.

È questo anche il grande messaggio del brano del Vangelo. Lazzaro, l’amico di Gesù, è malato. Ma, come per il cieco, questa malattia è «per la gloria di Dio», perché si manifesti che Dio ha realmente a cuore l’uomo nella sua concretezza e lo ama nella sua fragilità, e in Gesù si rende presente portando a compimento le promesse e le attese messianiche.

Gesù padroneggia appieno la scena, anche quando annuncia che Lazzaro è morto, non parla di morte ma di un sonno, «Lazzaro si è addormentato». Qui subito unisce la potenza della Sua Parola: «Ma io vado a risvegliarlo». Gesù sa perfettamente ciò che sta per fare. Annuncia apertamente che «Lazzaro è morto». Ma non c’è sonno interiore che Gesù non possa risvegliare. Quando siamo assaliti dal torpore, dalla stanchezza, dalla fatica che appesantisce il pellegrinaggio, Gesù viene per risvegliarci.

La scena si presenta umanamente irrimediabile. Lazzaro è nel sepolcro da quattro giorni. Stando al ragionamento umano, potremo dire che Gesù è arrivato in ritardo. Marta glielo fa quasi notare, con ardita confidenza. Sa che la presenza di Gesù avrebbe potuto cambiare il corso della storia. Eppure, Marta compie un atto di fede, sa che qualunque cosa Gesù chiede al Padre, il Padre gliela concederà. Gesù parla di risurrezione, Lui è «la risurrezione e la vita»: solo accogliendo nella fede questa verità si apre la strada all’imprevedibile di Dio nella miseria umana.

È bello incontrare un Gesù che piange e si commuove. L’affetto per Lazzaro scuote il cuore di Gesù che scoppia in pianto dinanzi al luogo della sepoltura. Da quelle lacrime d’amore, emerge la parola di Gesù in tutta la sua autorità e potenza. Gesù comanda di aprire il sepolcro, invitando ancora Marta ad avere fede: «Se tu credi, vedrai la gloria di Dio». 

La preghiera di Gesù al Padre precede il grido della vita: «Lazzaro, vieni fuori». Succede quel che umanamente è impensabile. Il morto esce, e Gesù comanda che sia liberato da ogni legame che lo mantiene ancora prigioniero della morte.

Questa è la potenza della parola di Gesù. È il comando che Gesù rivolge anche a noi, oggi: «Vieni fuori». Usciamo dalla morte per entrare nella vita. E la vita è il dono dello Spirito che abita in noi, perché nella potenza dello Spirito e della parola che chiama alla vita, possiamo sempre risorgere.

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