Essere sale ed essere luce
Commento al Vangelo di domenica 5 febbraio 2023 - V domenica del Tempo ordinario - Anno A
di Michele Pittalis
James-Jacques-Joseph Tissot, Gesù predica (1886-1896). New York, Brooklyn Museum of Art
4' di lettura
2 Febbraio 2023

Il giusto risplende come luce: così ci fa pregare il ritornello del Salmo responsoriale in questa domenica. Proseguendo la lettura del “discorso della montagna”, dopo la pagina delle “beatitudini”, “ritratto” di Gesù e di ogni credente, la liturgia della Parola ci guida ancora più in profondità. Le “beatitudini”, infatti, non sono propriamente un discorso di carattere morale: non trattano di cosa bisogna fare, ma di come bisogna essere, se si vuole accogliere nella propria vita la persona e l’annuncio di Gesù, e quindi testimoniarlo.

Il tema della “luce” attraversa tutta la liturgia domenicale. Ogni credente è chiamato ad illuminare con la sua testimonianza di vita anche la vita degli altri. Le parole del profeta Isaia ci fanno comprendere che essere luce non significa ergersi a maestri, magari “aiutando” l’altro per compiacere se stessi e per vanagloria. L’essere luce riguarda la concretezza della nostra vita e soprattutto la consistenza e la qualità delle nostre relazioni con gli altri.

Il messaggio di Isaia è chiaro: non è possibile un culto staccato o in contraddizione con la vita; non è possibile un’autentica vita spirituale, se questa non si renda visibile nel nostro stare con gli altri, attraverso la condivisione e la sincera solidarietà.

Isaia indica dei gesti, inequivocabili, per ribadire che il vero culto, consiste anzitutto nel “dividere il pane”, accogliere chi non ha dove vivere, vestire chi è nudo, nell’eliminazione di ogni forma di oppressione, nel non accusarsi reciprocamente né offendersi con la lingua.

Solamente aprire il cuore a chi è nel bisogno ci rende “luce” per gli altri e per noi stessi, e rende credibile nostra la fede, perché è unicamente nell’amore vicendevole e nella fraternità che l’uomo trova la sua vera realizzazione. Al bando allora parole e gesti ipocriti, che tante volte servono solo a tacitare la nostra coscienza. Siamo di fronte ad uno stile di vita nuovo, che ci tocca personalmente, che ci “scomoda”, che ci fa muovere ed andare incontro a chi ha bisogno.

Nel Vangelo, il tema della luce è posto accanto ad un altro elemento simbolico, quello del sale. «Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo». Quanta fiducia c’è in queste parole di Gesù verso i suoi discepoli! E quanta responsabilità per noi! Sale e luce hanno una medesima caratteristica: trasformano ciò con cui vengono in contatto. Il sale dà sapore, conserva, cura e rimargina, arricchisce e rende gustoso ciò che sarebbe altrimenti poco “appetibile”. La luce trasforma il paesaggio, gli ambienti, le situazioni; riporta in vita ciò che è immerso nell’oscurità; favorisce la relazione, illumina i volti, li rende riconoscibili, ci permette tanto di gustare l’ordine e la bellezza, di superare la diffidenza e la paura.

Ebbene, Gesù non nasconde che sale e luce possano smarrire la loro capacità trasformante: il sale può perdere il sapore e la luce essere messa sotto un moggio. In realtà, noi abbiamo la terribile possibilità di ingabbiare quella luce o di rendere vana l’utilità del sale.

Per evitare questo fallimento, siamo chiamati a mantenere una stretta relazione con la sorgente della vera luce e del vero “gusto” della vita, Gesù stesso. Se siamo uniti a Lui, allora davvero la comunità dei discepoli e ogni credente può diventare capace di lasciare una traccia importante nella storia del mondo.

Il discepolo di Cristo non può vivere nella scissione tra la fede professata e la vita concreta. «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». L’opera buona per antonomasia è la testimonianza della carità. Ed è a questo che il Vangelo ci chiama incessantemente.

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