Il Buon pastore ci conosce, ci ama e ci dona la vita
Commento al Vangelo di domenica 8 maggio 2022 - IV di Pasqua - Anno C
di Michele Casula
Gesù buon pastore, © Oswald Voelkel
5' di lettura
8 Maggio 2022

Dopo averci condotto domenica scorsa tra i pescatori, il Vangelo ci conduce tra i pastori. Due categorie di lavoratori molto presenti nei vangeli. Dall’una deriva il titolo di “pescatori di uomini”, dall’altra quello di “pastori di anime”, dato agli apostoli. Per chi proviene dall’ambiente pastorale è facile capire il significato della similitudine proposta dal Vangelo. Nel nostro ricordo il pastore condivideva la vita del suo gregge. Le poche pecore erano la sicurezza economica della maggior parte delle nostre famiglie. Egli a tutte le ore del giorno, con il bello e il cattivo tempo, seguiva il suo gregge, attento che nessuna pecora si perdesse o venisse rubata. Ecco perché nella storia d’Israele la figura del pastore ha assunto un significato così importante.

Nell’antico testamento Dio stesso viene presentato come il Pastore del suo popolo: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla» (Sal 23,1). «Egli è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce» (Sal 95,7). Il futuro Messia è anch’esso descritto con l’immagine del pastore: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri» (Is 40,11). Questa immagine ideale di pastore trova la sua piena realizzazione in Cristo. Egli è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede «come pecore senza pastore» (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli “il piccolo gregge” (Lc 12,32).

Di Gesù buon pastore il brano evangelico di questa domenica mette in risalto alcune caratteristiche.
La prima riguarda la conoscenza reciproca tra pecore e pastore: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Le pecore rimanevano per anni in compagnia del pastore che finiva per conoscere il carattere di ognuna e chiamarla con qualche affettuoso nomignolo. È chiaro ciò che Gesù vuole dire con queste immagini. Egli conosce i suoi discepoli e tutti gli uomini, li conosce “per nome” che per la Bibbia vuol dire nella loro più intima essenza. Egli li ama con un amore personale che raggiunge ciascuno come se fosse il solo ad esistere davanti a lui.

Un’altra cosa ci dice del buon pastore il brano odierno del Vangelo. Egli dà la vita alle pecore e per le pecore e nessuno potrà rapirgliele. L’incubo dei pastori d’Israele erano le bestie selvagge – lupi e iene – e i briganti. In luoghi così isolati essi costituivano una minaccia costante. Era il momento in cui veniva fuori la differenza tra il vero pastore – quello che pasce le pecore di famiglia, che ha la vocazione di pastore – e il salariato che si mette a servizio di qualche pastore unicamente per la paga che ne riceve, ma non ama le pecore. Di fronte al pericolo, il mercenario fugge e lascia le pecore in balia del lupo o del brigante; il vero pastore affronta coraggiosamente il pericolo per salvare il gregge. Questo spiega perché la liturgia ci propone il Vangelo del buon pastore nel tempo pasquale: la Pasqua è stata il momento in cui Cristo ha dimostrato di essere il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore.

In questa domenica del buon pastore la Chiesa prega in particolare per i suoi pastori: vescovi, sacerdoti, diaconi e per coloro che vivono il cammino di discernimento vocazionale verso il sacerdozio. Una comunità diventa feconda se prega per le vocazioni, se sostiene i ragazzi e i giovani nella loro ricerca vocazionale.
Oggi ogni comunità e ogni singolo cristiano sono chiamati a pregare perché i suoi sacerdoti siano «pastori con l’odore delle pecore», come ci ricorda Papa Francesco: presbiteri che amano il gregge loro affidato, pastori che non si pongono al di fuori o al di sopra del “gregge” ma dentro la storia concreta di ogni fedele. La gente ha necessità di essere amata, guidata, ha necessità di vedere i suoi sacerdoti che sappiano coniugare il loro ministero portando “la stola e il grembiule”, e sappiano condividere e animare dello spirito del Vangelo la storia concreta del popolo. Il sacerdote non il professionista del sacro, non è un uomo a ore, ma uno che tutto fa per il suo popolo e con il suo popolo.

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