Educarci alla gratitudine
Commento al Vangelo di domenica 9 ottobre 2022 - XXVIII domenica del Tempo ordinario - Anno C
di Michele Casula
J.J. Tissot, La guarigione dei lebbrosi
5' di lettura
9 Ottobre 2022

Immaginiamo la scena: dieci lebbrosi che da lontano richiamano l’attenzione di Gesù sulla loro drammatica situazione. Sicuramente ci sarà stato una fuga generale da parte delle altre persone, perché il lebbroso doveva stare fuori dal convivere civile, in quanto pericoloso per la salute.  Sembra di rivedere la storia di alcuni mesi fa, quando imperava la paura di essere contagiati dal covid anche da un nostro familiare e si è trovata come unica soluzione il creare distanze, sbarrando ospedali, scuole, chiese e tutti gli altri luoghi di vita, dimenticando che potevano esserci altre soluzioni più umane.  

Nella pagina di Vangelo di questa domenica Gesù ci mostra una soluzione diversa al problema: attenzione, nel rispetto delle regole (i dieci lebbrosi si fermano a distanza) a chi soffre. La distanza fisica viene sostituita dalla vicinanza del cuore e dalla potenza della Parola. Gesù, – e dovrebbe essere così anche per noi suoi discepoli – al contrario della mentalità corrente del suo tempo, non solo non conosce assurde ed ingiuste emarginazioni, ma va oltre, si fa vicino ai “lebbrosi’ di ogni genere, con amore preferenziale. Così sulla sua strada si affollano ciechi, storpi, rifiutati, peccatori, lebbrosi: tutti quelli, insomma, che “il mondo” caccia, mentre Gesù per tutti ha tenerezza, compassione, amore. Durante la pandemia anche le comunità cristiane hanno vissuto due modi diversi di affrontare la grave situazione: il primo è stato quello di chiudere tutto, decidendo quasi di non esistere più, il secondo, invece, sforzandosi di vivere l’apertura del cuore e portando “da distanza” alle persone speranza, fiducia e sanando situazioni di sofferenza non solo materiale, ma spesso anche spirituale. Questo atteggiamento evangelico lo testimonia ogni giorno una innumerevole schiera di uomini e donne che vivono la loro fede nel dono totale di sé ai lebbrosi di ogni tipo ed è ancora un segno di speranza in una società dove si creano rifiuti ed emarginazioni. 

Ma il Vangelo di oggi continua: «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro, lodando Dio a gran voce e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato”». C’è una vena di amarezza nelle parole di Gesù, che mettono in luce come, a volte, quando si è avuta una grazia o aiuto, ci si scordi di chi ce ne ha fatto dono.

L’ingratitudine è un vizio diffuso, che denota egoismo, mentre la gratitudine, come quella del samaritano, onora il cuore dell’uomo e lo ci salva dalla chiusura in sé stessi. Nella vita si dovrebbe sempre dire “Grazie” a chi ci fa il bene. È amore che si riceve e si riconosce. Anche noi, nella vita, riceviamo immensi doni dal Padre, anzi, tutto nella nostra vita è dono, anche se non ne abbiamo consapevolezza o non ci badiamo o non ce ne ricordiamo conto. Ricordiamo la bellissima preghiera all’inizio e alla fine di ogni giornata «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo giorno / in questa notte…»

Educhiamo il nostro cuore alla gratitudine e al riconoscere nella vita lo straordinario amore di Dio per noi. Spesso Papa Francesco ce lo ricorda con forza: «Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili».  Nove lebbrosi hanno osservato la legge e sono stati guariti nel corpo, ma solo il samaritano è salvato a causa di una fede ricca di gratitudine. Impariamo a dire Grazie quando veniamo guariti dal peccato, quando Dio ci alimenta della sua Parola e del suo Pane.  
Pensiamo alle nostre Eucarestie (rendimento di grazie): sono esse espressioni personali che diventano comunitarie della gratitudine di un popolo al Signore o precetto da osservare, preghiera per me, rito dove tutto è presente tranne la bellezza della gratitudine al Signore? L’Eucarestia è il momento più alto della gratitudine al Signore di una comunità che sperimenta il gusto del pane, l’esperienza, cioè, di un Dio provvidente e attento alla nostra umanità alla quale si dona con amore. Non facciamo come i 9 lebbrosi che ricevono il dono e vanno via, ma fermiamoci davanti al Signore per dirgli il nostro grazie e facciamo della nostra esistenza concreta il grazie quotidiano che ci aiuta a condividere il dono ricevuto col fratello che Dio ci fa incontrare.

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