Essere discepoli: una scelta di liberazione
Commento al Vangelo di domenica 4 settembre 2022 - XXIII domenica del Tempo ordinario - Anno C
di Michele Casula
Insegnamenti di Gesù (dipinto di Jorge Cocco Santángelo)
5' di lettura
4 Settembre 2022

Dio si fa conoscere da chi ha il cuore sincero ed è disposto a seguirlo, vivendo ogni giorno il Vangelo della croce (dalla Colletta). Alla folla che lo segue Gesù espone le condizioni che permettono di essere suoi discepoli, quasi una sorta di regole che mettono ordine nella vita di chi desidera seguirLo veramente. Proviamo a leggere queste non come delle regole che ingabbiano la nostra fede, ma come un invito al miglioramento, alla crescita. «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo ». Se uno viene a me: è il desiderio di trovare Qualcuno capace di dare senso alla propria vita. Questo movimento è il primo passo, a cui deve seguire il secondo: «Se uno viene a me e non mi ama più di…». Se la prima parte è il mio desiderio di muovermi verso Gesù, la seconda parte è l’esigenza che Gesù pone al discepolo. Lui mi parla subito di amore, di un amore che non ammette mezze misure. Anche gli affetti più cari devono lasciare il passo a Dio, che non nega l’amore verso le persone, anzi lo eleva: siamo invitati ad amare gli altri con la stessa logica di totalità che deve esistere tra me e Dio. «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». Portare la croce significa accogliere quella parte fragile della nostra vita, averne cura. Non pensare subito alla croce di legno: è fatta di carne e sangue la nostra croce, ha un nome, un volto, un cuore, un’anima. Portare sé stessi e seguire Gesù: questo chiede il Signore. Lui desidera che tutto di noi sia presente, non solo la bella parte, anche le pagine più stropicciate e piene di errori, pagine di strappi e di peccati. Su quelle pagine Lui si sofferma, non per condannarci, ma per cogliere tutta la nostra fatica e stringerci al cuore, perché ci ama. Non negare la nostra croce, non nasconderla: viviamo anche questa dimensione con Gesù, Lui che della sua croce ne ha fatto lo strumento per ricongiungere il cielo alla terra.

«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». La prima parte delle esigenze dell’esser discepolo parla di persone, questa parla di cose, di possedimenti, ma il concetto è lo stesso: se tra noi e Dio c’è un terzo incomodo (cosa o persona), tutto va a rotoli, e la relazione è impedita, o quantomeno disturbata. È un taglio netto e definitivo tra me e i miei averi, non perché non mi servano, ma perché «se non avessi la carità, non sarei nulla» (1Cor 13,2), e queste proprietà, se vissute male, andrebbero ad intralciare la relazione con Dio. Gesù ci accoglie come discepolo se lo mettiamo al primo posto, se diciamo addio a tutto ciò che si frappone tra noi e Lui. Significa porre tutte le nostre risorse ed energie in quello che facciamo, è un discorso di ordine e di priorità; desidera tutto di noi, non solo un avanzo del tempo e del cuore. Portare ciascuno la propria croce ha il significato di entrare nella stessa dinamica di amore di Gesù. La croce non è un guaio indesiderato che dobbiamo sopportare con pazienza e rassegnazione, piuttosto una scelta positiva di vita. Seguire Gesù significa portare la croce della fedeltà e della coerenza agli ideali di giustizia, fraternità, accoglienza, pace, ben sapendo di andare incontro all’insuccesso agli occhi degli uomini. Essere discepolo di Cristo è una scelta di libertà: è necessario lasciare tutto ciò che sembra offrire sicurezza, abbracciare la croce significa mettere la propria vita nelle mani del Cristo, abbandonare le paure, prendere coscienza dell’insignificanza di ciò che si perde e l’incertezza di ciò che è guadagnato perché l’Amore vale di più. Gesù non è un venditore di favole, non crea illusioni, non inganna i seguaci, lui chiede tutto, compresa la vita; come lui che ha dato tutto. Lo stile paradossale caro a Gesù non lascia scampo ai nostri “se”, ai “ma”, ai “però”… (“ma proprio tutto devo lasciare?”, “odiare i propri cari non è un po’ troppo?”, “e se poi non tutto fila liscio?”). Le due brevi parabolette, quella del costruttore di una torre e quella del re che va in guerra, sono da interpretare come invito forte a riflettere bene quando ci si trova davanti ad una scelta così radicale. Gesù ci invita a riflettere, soprattutto considerando il fatto che una scelta operata nel qui ed ora si andrà snocciolando nella quotidianità del giorno dopo giorno e si incarnerà in una serie di eventi e di situazioni future neppur lontanamente immaginabili nel presente. Eventi che potrebbero mettere a dura prova la scelta d’inizio. Siamo disposti davvero ad una scelta cristiana che comporta una liberazione da tutto ciò che si pone come ostacolo nell’essere discepoli, si tratti di cose o persone?

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