Attendere è già amare
Commento al Vangelo di domenica 27 novembre 2022 - I domenica di Avvento - Anno A
di Michele Pittalis
Nikiforos Lytras, L’attesa. National Gallery of Greece (particolare)
4' di lettura
27 Novembre 2022

Facciamo tutti esperienza dell’attendere: in un ufficio, davanti al semaforo, prima di una visita medica… Il nostro modo di attendere dice molto del nostro modo di vivere, parla del nostro cuore. Spesso infatti, siamo soliti “ingannare” l’attesa riempiendo il tempo – erroneamente considerato inutile – con distrazioni più o meno coinvolgenti, o con chiacchiere inutili, o giocando con l’inseparabile telefonino. Talvolta, l’attesa provoca in noi reazioni contrastanti, magari rabbia o intolleranza.

Il tempo forte dell’Avvento, che apre anche il nuovo anno liturgico, ripropone con forza la realtà dell’attesa, capace di dare o togliere il senso ad una vita intera. Attendere ci proietta anzitutto in avanti. Chi è prigioniero del passato o ancorato al godimento del presente, non è capace di attendere. Si attende ciò che si desidera, ciò di cui si ha bisogno, ciò che manca, e in fondo, ciò che si ama. Questo vale anche per Gesù.

Le domeniche di Avvento hanno un duplice orizzonte: ci fanno anzitutto guardare al compimento, al ritorno glorioso del Signore, che riconcilierà in sé tutta la storia della salvezza; quindi ci preparano immediatamente alla celebrazione del Natale, alla venuta nella carne del Figlio di Dio. In entrambi i casi, attendere è fondamentale. E possiamo aspettare Gesù, con cuore libero e partecipe, solo se lo desideriamo, se riconosciamo quanto ci è necessario, se lo amiamo davvero.

La Parola di Dio ci aiuta a riaccendere questa attesa, soprattutto attraverso la visione di Isaia e il brano del Vangelo di Matteo. La prima lettura è intessuta di verbi di movimento. Il monte del Tempio, simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, diventa punto di attrazione per tutta l’umanità.

Due movimenti: verso il futuro e verso l’alto, verso la “fine dei giorni” e verso il “tempio del Signore”. Scopo di questo pellegrinaggio è l’ascolto della Parola, accogliere l’insegnamento di Dio e comprendere la sua volontà, per poterla vivere nella pace e nella piena riconciliazione. È Dio che ci attira a sé. Il suo è sempre un amore seducente, capace di suscitare il desiderio di lasciarsi incontrare da Lui. È per questo che l’Avvento è anzitutto un tempo per mettersi in cammino, per farsi incontrare dal Signore che viene.

La fede non è mai comoda, né statica. Un certo cristianesimo “da salotto” si rivela alla fine totalmente ininfluente. Invece, attendere è proprio muoversi verso la persona attesa, preparare il suo “avvento”, vivere il tempo come grazia e in esso riconoscere la Presenza del sempre Veniente.

Per accogliere Gesù occorre essere disarmati, riconoscersi cioè bisognosi di misericordia e di salvezza. Anche San Paolo, scrivendo ai Romani, lo afferma con chiarezza: se la salvezza è vicina e si è resa accessibile, questo non può lasciarci indifferenti. Se la luce è vicina, non vi può essere spazio per le tenebre; se il Signore è vicino, non si può cedere al compromesso, alle furberie, alle resistenze.

L’Avvento allora ci provoca. Cosa sto attendendo? Chi sto attendendo? Perché dalla risposta a queste domande possiamo comprendere quali bisogni consideriamo primari, ciò che per noi è essenziale. E soprattutto quale posto ha Gesù fra questi bisogni.

Il Vangelo richiama un episodio noto dell’Antico Testamento, la costruzione e l’ingresso di Noè nell’arca, e paragona il diluvio al “giorno del Signore”. Non vi è spazio per le distrazioni. Il cuore deve conservarsi libero e desto, perché dinanzi alla venuta del Salvatore, dobbiamo prendere una decisione, fare una scelta, accettare le necessarie rinunce. La Parola ci chiama ad abbandonare l’oscurità del peccato e dell’egoismo, a recidere ogni legame, anche se comodo, che impedisce il passo, ad aprirsi alla luce dell’amore e del servizio. Buon cammino di Avvento, incontro a Cristo.

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