Zola a Wembley il 12 febbraio 1997
Quel gol è l’impresa del ragazzo di Oliena ma rappresenta anche visibilità per l’Isola contro la condanna all’oscuro e all’inesistenza
di Natalino Piras
Il tiro vincente, la notte magica di Zola nel vecchio e glorioso Wembley (iilustrazione di Franco Colomo)
5' di lettura
25 Luglio 2021

Noi che quel gol l’abbiamo visto in diretta tv e però era come fossimo là, nel luogo più importante del calcio, la sua cattedrale a dirla con Pelè, possiamo sostenere che quello fu davvero un segno. Di quanto, 24 anni dopo, l’11 luglio 2021, avrebbe fatto la Nazionale italiana conquistando il titolo europeo proprio a Wembley, proprio contro l’Inghilterra.

Anche allora, quel 12 febbraio del 1997, l’Italia allenata da Cesare Maldini giocava contro l’Inghilterra di Beckham, Campbell e Neville tra gli altri, per la qualificazione al mondiale in Francia dell’anno successivo. Al 20’ del primo tempo il goal, unico e decisivo, di Gianfranco Zola, classe 1966, di Oliena. Era già importante per la Nazionale e per le squadre con cui aveva giocato, dalla Nuorese al Parma, al Napoli, il Chelsea, proprio di Londra, la sua squadra allora. Ma quel goal era e resta unico. Proprio perché segnato nel luogo del mito del calcio da uno di noi, come sardo, comente olianesu, detto senza alcuna accezione campanilistica. Una staffilata di destro e Walker, il portiere inglese, che diventa “Lepione”, acchiappafarfalle, impossibile da parare quel tiro che niente sa di british ma è tutto di marca sardo- barbaricina.

Scrissi a caldo un pezzo salvato in floppy e poi utilizzato diverse volte, adattato per giornali, riviste, pure per una monografia su Oliena. Tutto ruotava intorno a quel gol entrato nella storia per diventare mito, non solo del calcio. Zola aveva quel giorno il n. 11 sulla maglia come fosse l’11 di Gigi Riva. Segnò davanti a settantamila inglesi ammutoliti e diecimila italiani festanti e, quel che più conta, davanti a milioni e milioni di telespettatori. Unu sardu.

Gli inglesi avrebbero poi chiamato Zola “Magic Box” e continuato a usare parole come “folletto”, “Gorgon-Zola”, “tamburino sardo” e quanti altri nomignoli e appellativi i media gli avevano già inventato e cucito addosso. La regina Elisabetta non poteva nominarlo sir in quanto quel titolo si può dare solo a inglesi di nascita, purosangue, de bardocchinu direbbero al mio paese con molta autoironia. Impossibile il sir, la regina optò per membro dell’ordine dell’impero britannico: per come vanno oggi le cose per quell’impero, dalla Brexit a Boris Johnson, sembra più titolo da barzelletta che cosa seria.

Per il gol di Zola a Wembley è la parola sardo che interessa. Ci si costruiscono uno e più romanzi. Quel gol è la messa in scena di diverse metafore. È l’impresa “del ragazzo di Oliena”, lo chiamavano anche così, ma rappresenta per ieri e per oggi visibilità e concretezza che fanno forza sull’oscuro, sulla condanna all’inesistenza quale molti storici prima e molti media adesso hanno condannato e condannano la Sardegna. Ne sono prova le telecronache Rai del post partita di domenica scorsa 11 luvale glio, nessuno che abbia detto, si sia chiesto, di quella bandiera dei Quattro Mori messa come un mantello, con commozione e orgoglio, da Salvatore Sirigu della Caletta, tenuta per un altro lembo da Nicolò Barella di Sestu, appena diventati campioni europei. Molto più in rilievo il fatto che gli inglesi si siano tolti, in maniera che niente sa di sir e di gloria imperiale, la medaglia d’argento appena ricevuta. I telecronisti hanno appena accennato, a inizio partita, al gol di Zola, assieme a quello segnato da Capello, sempre a Wembley, il 14 novembre 1973. Solamente un dato statistico.

Per quanti però si riconoscono in quel “noi” all’inizio di questa cronaca il gol di Zola è solo il gol di Zola che veramente. Proviamo a mettere insieme le parole goleador e sardo. Che senso ha dire goleador sardo e non magari di Cinisello Balsamo, napoletano, siciliano o genericamente meridionale? È che quel gol di Zola del 12 febbraio 1977 a Wembley serve ad illuminare insieme alla fantasia di tutti i tifosi della nazionale anche la tenebra che ancora avvolge la sua e la nostra Sardegna. La costa e l’interno, Oliena, il suo paese, e tanti altri.

È come se attingendo dal Giorno del giudizio di Salvatore Satta, romanzo di fantasmi ma anche di ben definiti tipi e paesaggi, romanzo tradotto anche in inglese, Oliena si illuminasse all’improvviso. Non solo agli occhi dei nuoresi e non solo con le luci di risulta dei lampioni a gas come narra Il giorno del giudizio.

L’improvvisa magia di quella luce, che è insieme romanzo e cronaca del reale, poesia e prosa, torna nella memoria, a 24 anni di distanza di un goal sardo e di sarditudine. Racconta ancora e lo farà ormai per sempre passaggi dalla tenebra alla visibilità, una civiltà millenaria, le dominazioni e gli improvvisi scarti di ribellione, un insieme di storie e di leggende, di eroi e di santi, di banditi, di contadini e pastori, di soldati, di proprietari terrieri, di qualche navigante, di politici e no. Torrat a su Connottu e rilancia. Una waste land, paesaggio a tratti desolato ma sempre capace di vasta latitudine. Questa è l’isola di Zola, la sua e la nostra.

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