Salomone Murtula
I magnifici sette. Personaggi immaginari presi dalla realtà/5
di Natalino Piras
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di dotto (particolare) (1560 ca)
5' di lettura
24 Dicembre 2023

Il nome proprio, a indicare onniscienza, glielo diamo noi, sostituendolo a quello presuntamente vero: Francesco Saverio. In realtà lui era solo «il Murtula», pronunciato autorevole, a dirimere ogni possibile controversia di carattere storico, filosofico, letterario, intellettuale a tutto campo. Il Murtula deve avere scritto anche racconti di Natale, più sul versante rustico-pastorino che attinente alle coketown di Dickens. Alcune fonti lo tramandano professore alla scuola unica di uno stazzo gallurese, elementari e medie insieme. Aveva la fissa della filologia latina e il suo bersaglio era un tale Pinnone, a 16 anni ancora lontano da un qualche approdo, scolasticamente parlando. Quando professor Murtula voleva personificare l’ignoranza assoluta non poteva che richiamare Pinnone, come corpo fisico e in metafora. «Asino, molentemolentainu, tu sei come Pinnone che se gli chiedo cosa vuol dire “malum coram te feci” lui traduce che fa sempre le cose de malu corosu raju bor falet a isse e a tie

Per tornare a Salomone, «lo dice il Murtula» era insieme richiamo e rinvio fatto dal compianto Giulio Albergoni, artista e scrittore. Giulio lo diceva a faccia seria ma si vedeva che non ci credeva neppure lui. L’autorità del Murtula serviva a mettere il punto fermo su questioni riguardanti Giorgio Asproni, il pensiero autonomistico dei padri fondatori ma pure qualche etimologia non così lineare, qualche sintagma troppo conciso, una critica letteraria, pure il cartesiano cogito ergo sum. Alla richiesta di dove si trovassero le varie spiegazioni scritte dall’insigne filologo c’era una lista di opere a stampa che aspettavano di essere consultate, non sempre riportate nei cataloghi delle Biblioteche pubbliche, e diverso materiale inedito. Il Murtula era sempre là, sguardo severo, fronte ampia, barba tra il mazziniano e quella dei contestatori del ’68, di silenzio indagatore e di fluente favella. 

Una volta discutevamo sulla veridicità de sos baranta cadderis vitzikesos che al tempo della rivoluzione angioyana del 1793 erano scesi al Poetto di Cagliari a dare manforte ai miliziani, quelli che col cappello di alta tuba e il corpetto rosso respinsero lo sbarco dei francesi, palas a Deus in quanto figli della Rivoluzione, facendone prima macello sulla spiaggia. C’è il passaggio, riportato spesso anche da Michelangelo Pira, quando il bittese chiese all’orunese – accorsero da molti luoghi al grido di animus patriottos a sa gherra – ma potrebbe essere viceversa a seconda di dove lo si racconta,  di dargli un poco del bottino, tutto insanguinato, di cui era carico. Questa la risposta: «Si ne cheres annas e ti ne ucchides de cussos franzessos!». Lasciati i dilemmi, sulla veridicità storica l’autorità del Murtula sanciva: 1) che l’ammiraglio Truguet, comandante della flotta francese, era figlio naturale di Mussingallone, 2) che nella battaglia del Poetto molti cani fonnesi fecero il loro dovere in aiuto ai combattenti sardi e che i francesi scampati ancora se li vedevano in terribile sogno. Il terzo punto sa di epica. Di ritorno dalla battaglia, cantando inni di vittoria, sos baranta cadderis vitzikesos, attraversarono la montagna tra Orgosolo e Villagrande. Nella risalita fasciarono di stracci le gambe e i piedi di cavalli di modo che non si vedesse orma alcuna. Camminarono nella notte curvi e silenziosi, come sanno fare sos curtzos, gli abigei per antonomasia. Arrivarono in paese portandosi dietro intere mandrie di vacche, maiali a centinaia. «Gai», il commento albergoniano, «pro non torrare a manos iscutitas. Lo dice il Murtula».

Dopo quella spiegazione ci siamo messi a fare ricerca sulla vera origine del Murtula, a iniziare dal cognome. Murtula può derivare direttamente da Murta, mirto, variante dei diffusi Murtas, Demurtas in accezione qualsiasi e con il «de» nobiliare ma pure, altra possibile provenienza nominale, da Murtullò, luogo aspro e selvaggio dell’infinito salto bittese, tra Crastazza e Tepilora.  La nostra ricerca ha varcato i confini territoriali e ci ha portato a scoprire che un Murtula studioso onnisciente niente aveva a che vedere con la Barbagia. Era di Senorbì. Fu uditore, nel senso che orecchiava e basta, nelle due università sarde prima che di lui si perdessero le tracce. Chi sa, se questo avessimo riferito a Giulio che a quel tempo ancora doveva dirimere la questione se il Murtula fosse zullu di Bitti o zullu di Orune. 

Resta il fato che ci sono ancora diversi Murtula in giro, specie nella scuola, sempre in cattedra, non si sa fino a che punto consapevoli. Ma pure nei giornali, in tv, nei social. Che si chiamino Francesco Saverio, Salomone, Murtula Murtullò o Murtula di Senorbì poco importa. Sostengono il torto per il torto, innaturali per loro cerca della ragione e i dualismi della verità. Nessun misterioso fascino. Noi giocavamo a «lo dice il Murtula» vedendone tanti replicanti, troppi, in libera circolazione.

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