Dionisi Panteas, su teju e i poeti bittesi
Il quarto libro della riedizione dell’opera omnia di monsignor Raimondo Calvisi
di Natalino Piras
Monsignor Calvisi
5' di lettura
30 Aprile 2024

È in distribuzione, pubblicato da Carlo Delfino, Riti magiciSu Teju. Profili di poeti bittesi, il 4° libro della riedizione dell’opera omnia di Monsignor Raimondo Calvisi. La cura dell’intera collana, Sa paraula e sos libros, in tutto 6 volumi, è di Diego Casu e di chi scrive.  Abbiamo iniziato a pubblicare nel settembre 2021. Dovremmo avere completato l’opera tra fine 2024 e primi del 2025.  La prima edizione di questo quarto libro, Fossataro 1971, è di 77 pagine. In questa edizione del 2024 le pagine sono più del doppio, 170, comprese 73 illustrazioni.  

L’introduzione che ha come titolo Il tesoro nascosto, il pianto funebre e i poeti, così attacca: «Il villaggio globale che il mondo calvisiano contiene, estende di continuo i confini: in allargamento e in campitura lunga ma pure in profondità e in altezza. Un discorso insieme storico, letterario, pittorico, visionario che torna sempre al proprio centro di emanazione, Bitti». Come in tutta la scrittura di Monsignor Calvisi anche in questo quarto volume prosa e poesia si danno voce. Formano un unico linguaggio narrativo dove ciascuna persona, ciascuna cosa, ogni singola situazione ha un proprio specifico ambito di rappresentazione.  Fuori da schematismi e da tipologie folcloristiche. 

Dionisi Panteas alias Flore Galanu, prate isconzu, è il protagonista del lungo racconto iniziale. Fatta società con alcuni amici, oreris, Dionisi  vuole mettere le mani su un tesoro sepolto  in una chiesetta sconsacrata di uno stazzo gallurese. Bisogna però mettere fuori gioco il diavolo, Lutzeddu e tutti gli altri appellativi, che il tesoro custodisce.  «Una sera Dionisi Panteas fu visto inoltrarsi con tre individui verso i ruderi della chiesuola destando i più bizzarri sospetti. Nel silenzio di quei misteriosi ruderi, con una certa padronanza aveva segnato rapidamente i due prescritti cerchi concentrici col triangolo inscritto, dove, segnati i nomi degli spiriti da evocare, aveva fatto entrare i tre amici con le verghe in mano e muniti di speciali pungas. Li aveva aspersi con acqua santa, e, cinto di stola, col suo cordone francescano e un gran rosario di Terra Santa intrecciato al polso, aveva iniziato, tra l’emozione sua e dei compagni, le preci preliminari per ottenere dal cielo che filius iniquitatis non apponat nocere nobis…».  È il metodo calvisiano. Tutto serve e questo tutto è quanto la narrazione orale ha tramandato nel tempo, facendo contesto. Il magico e le superstizioni sono il terreno di coltura,  impastano  la banalità e la durezza del quotidiano, molto più duro per i poveri. Da sempre questi non hanno fortuna, chene sorte.  Dice thia Bonaera Panteas, madre di Dionisi, in chiusura di racconto: «Oh, lu meu fiddolu, poari semi nati e poari moriremo». Lo dice in un gallurese funzionale al logudorese qui nella variane bittese, lingua che Monsignor Calvisi trasforma in italiano regionale a sostenere l’intero racconto. 

Il bittese funziona come lingua accentrante le diverse parti del libro. L’interpolazione e l’alternanza tra prosa e poesia sono ben rappresentate nel capitolo che segue il racconto della cerca del tesoro, Su Teju, il pianto funebre tradizionale: s’attitusos contrattitos che dicono della morte, del teatro della morte che scopre, rivela, la vita. Nel metodo calvisiano il mondo tradizionale comunica i suoi riti e i miti al nostro tempo, quanto può tornare utile per comprendere, per liberare dalle inerzie, dalle fissazioni e dagli schematismi la memoria storica. L’universo delle «dolentes custrintas» e delle prefiche, ma pure le voci di contrasto, sos contrattitos, sono la trama evidente e nascosta che tiene insieme le narrazioni di tutti i cinque libri di Monsignor Calvisi. 

La parte più specificatamente poetica del quarto libro antologizza e narra le vite di tre importanti poeti bittesi, tra i più significativi nell’Isola. Sono Remunnu ‘e Locu (Bitti 5 luglio 1812 – 26 luglio 1891, 1897 nell’edizione del 1971), Diego Mele (Bitti 22 gennaio 1797 – Olzai 16 ottobre 1861), Melchiorre Dore (Bitti 6 maggio 1770 – Nuoro 20 luglio 1851). Un patrimonio di versi e di storie, poesia di forte valenza insieme estetica e etica, che tessono memoria e prospettiva nel villaggio che da locale si fa globale: Remunnu ‘e Locu su poeta, senza scrittura, de sos remitanos, Diegu Mele che passa dall’elegia alla satira, Merzioro Dore e la sua Jerusalèm Victoriosa come libro indispensabile nella formazione pedagogica di cui era capace la scuola impropria della società contadina e pastorale che dalla montagna estende vero soru de su mare

Di tutto questo rende testimonianza il quarto libro, nel raccogliere, fissare, tramandare. Di tutto questo bisogna continuare a dare atto a Rimunnu Truncu, alla sua humilitas intellettuale   intrisa di sapienza del cuore, un fuori ruolo nella gerarchia ecclesiastica e nell’accademia, voce importante, in profondità e senso della comprensione, intesa questa come moneta di scambio, monedita de alma, nel nostro essere e fare communitas. 

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