«Va’ e anche tu fa’ così», una Parola che ci provoca come Chiesa
Commento al Vangelo di domenica 10 luglio 2022 - XV domenica del Tempo ordinario - Anno C
di Michele Casula
Vincent Van Gogh, Il buon samaritano (1890) Otterlo, Kröller Müller Museum (particolare)
5' di lettura
10 Luglio 2022

Abbiamo suddiviso il mondo in categorie: vicini e lontani, credenti e atei, italiani e stranieri…noi e loro. Gesù ribalta tutti i nostri ragionamenti e pone ciascuno di noi davanti ad una scelta radicale: ognuno di noi diventa prossimo per l’altro, senza alcuna distinzione. Davanti alla domanda: cosa devo fare per avere la vita eterna, Gesù non risponde direttamente, ma interpella il suo interlocutore: cosa leggi nella legge? Pone questa domanda perché la risposta che darà dopo presuppone la conoscenza della legge, ma anche il superamento di una visione troppo ridotta e parziale di essa. La vita eterna! È il grande problema degli uomini di tutti i tempi. Tutti noi aneliamo ad una pienezza di vita e di felicità infinita; tutti noi ci ribelliamo all’idea che il nostro percorso sulla scena di questo mondo si concluda nel nulla. Tutti noi vogliamo la felicità piena, e se non è eterna, non può essere felicità. Alla domanda su cosa fare per avere la vita eterna, Gesù racconta la parabola del buon samaritano, che tutti noi apparentemente condividiamo, ma essa non è solo una risposta al suo interlocutore, ma è rivolta a tutti noi, sia come singoli, sia come chiesa comunità.

Al centro della parabola c’è un uomo qualunque, anonimo, senza indicazione di patria né di professione, vittima indifesa di briganti, che giace mezzo morto al bordo della strada. Davanti a lui sfilano vari atteggiamenti, che permettono di chiarire chi si stia comportando come prossimo. Questo personaggio rappresenta l’umanità percossa e ferita. Ma al centro della parabola c’è specialmente il modo di fare di Gesù stesso che si fa povero e bisognoso con l’uomo che chiede aiuto e buon samaritano nel dare questo aiuto. Quante volte veniamo interpellati da eventi tragici, da domande di aiuto, dalla quotidianità del limite e della fragilità. Tanti si fermano anche oggi ai bordi delle strade del dolore e vivono il loro essere buoni samaritani. Pensiamo ai luminosi esempi di amore che danno speranza all’umanità: il mondo è ricco davvero di esempi di dono totale di sé. Conosciamo esperienze meravigliose di aiuto, conforto e presenza davanti al dolore e alla necessità, ma esistono anche i gesti quotidiani e silenziosi, che non usciranno mai sui giornali, ma sono scritti nel Libro della Vita. Uomini e donne che si donano completamente per i loro cari e che trovano il tempo anche per gli altri.

Esistono sacerdoti, suore e religiosi che, a differenza degli uomini di culto della parabola, continuano il loro culto nell’ascolto, nella presenza silenziosa, nel conforto del cuore, nell’essere fari di speranza per tutti. Esistono preti che non conoscono l’orologio, preti che insieme alla stola portano il grembiule del servizio. La pandemia ci ha insegnato tanto: si può chiudere per precauzione una chiesa durante la celebrazione, non si potrà mai chiudere la chiesa dell’amore. Forse per quei cristiani, preti e laici, troppo perfetti e furibondi per le scelte anti-Covid che hanno interessato anche noi come Chiesa, questa è una propizia occasione, da non sprecare, per aprirci al vero volto dell’essere Chiesa.

Quando il prete celebra non lo fa mai da solo e in quei mesi, non nei banchi ma nel cuore, c’era molta più gente delle nostre celebrazioni spesso stanche e con pochi fedeli. Quando celebriamo c’è il malato terminale che è mesi che non può venire in chiesa, c’è quella famiglia disperata, quella famiglia che ha perso la bellezza dell’amore, giovani senza prospettive, ragazzi senza gioia. Se nelle nostre celebrazioni mancasse l’umanità da presentare al Signore, ma anche da servire concretamente, esse sarebbero solo ritualismo e appagamento della nostra autosufficienza e del nostro narcisismo liturgico. Quante volte, dall’altra parte, molti passano oltre davanti a questa umanità sofferente, magari solo fermandosi a commiserarla. Quante chiese davvero chiuse e non più fontane del villaggio dove dissetarsi, quanti orari che vincolano i rapporti, quante condizioni perché uno possa sentirsi a casa e non sopportato, perché lontano. Il buon samaritano non chiede nulla, agisce e non chiede riconoscimenti. Le nostre celebrazioni, le nostre processioni, le nostre novene sono vere e portano frutto, se sono unite all’unica legge dell’amore.

«Va’ e anche tu fa’ così». È un forte monito e incoraggiamento rivolto a me, a ciascuno di noi, ma è rivolto anche alla comunità nel suo insieme, nel suo progettare la vita pastorale, nel suo essere comunità che opera attraverso i laici e i presbiteri in un mondo che ha fame di Dio e al quale non possiamo dare solo riposte parziali, come quella del dottore della legge. È questo il senso del grande richiamo di Papa Francesco ad essere Chiesa in uscita e Chiesa povera tra i poveri.

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--