Ne ebbe compassione
Commento al Vangelo di domenica 11 febbraio 2024 - VI Domenica del Tempo ordinario - Anno A
di Andrea Biancu
Niels Larsen Stevns, Gesù guarisce il lebbroso (Skovgaard Museum, Viborg, Denmark)
4' di lettura
10 Febbraio 2024

Il testo evangelico di questa domenica, nella quale si celebra la Giornata Mondiale del Malato, presenta la conclusione del primo capitolo del vangelo di Marco con la guarigione di un lebbroso. Inginocchiandosi di fronte a Gesù, lui sa già che può guarirlo ma non pretende il miracolo: «Se vuoi, puoi purificarmi» (Mc 1, 40). Si pone sotto lo sguardo del Maestro, accetta il dono, prega con fiducia, si rimette umilmente alla decisione di Gesù.

L’evangelista, prima di gesti e parole, evidenzia il movimento del cuore di Gesù: «Ne ebbe compassione» (Mc 1,41). È una parola di grande profondità perché nel testo originale rimanda all’amore materno (cfr Is 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?»). Quell’uomo in ginocchio supplica il dono della vita vera e piena (tolta dalla malattia e dall’isolamento sociale che ne è conseguito), è come un bimbo indifeso che ha bisogno di colei che lo ha generato, l’unica che sente nel profondo quel movimento del cuore.

«Lo voglio, sii purificato» (Mc 1, 41): Gesù riprende le parole del lebbroso, le fa proprie ma aggiunge un gesto che rompe con la legislazione dell’epoca toccandolo senza timore con la mano. La mano di Gesù toglie da noi le piaghe dell’anima, ci risana senza subire il contagio del nostro male ma portandone tutte le conseguenze di pena, di dolore e di umiliazione. Sono le stesse mani che non solo guariscono e confortano, ma nella croce saranno il segno della compassione che abbraccia il mondo intero.

Colui che prima era emarginato a causa della lebbra ora deve riscostruire la sua vita, ricominciare daccapo: con la sua famiglia, con la società, con il lavoro. Anche oggi ci sono tanti che sono considerati come lebbrosi, emarginati e dimenticati da tutti, spesso senza un nome e un volto. Non sono solo quelli lontani, nelle terre più povere del mondo, ma anche quelli della “porta accanto” e soprattutto coloro che noi mettiamo al margine, cercando di rimuoverne perfino il ricordo della loro esistenza.

Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti ha scritto: «Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai margini della vita. Questo ci deve indignare, fino a farci scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana. Questo è dignità» (n. 68).

La dignità di una persona si afferma quando si vince l’indifferenza nei suoi confronti, quando c’è quel movimento del cuore, quando ho uno sguardo rispettoso e pieno di compassione. La prima guarigione deve avvenire nel cuore di chi guarda verso la sofferenza: ognuno di noi ha la necessità di far maturare dentro questa consapevolezza. Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, in riferimento alle istituzioni che si occupano dell’assistenza ai bisognosi, aveva affermato: «Oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”. Occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore» (n. 31).

Tutti possiamo correre il rischio di essere vittime dell’esclusione: per questo la guarigione del lebbroso ci ricorda che la malattia più grave dell’anima è l’indifferenza e l’emarginazione dell’altro, l’eliminazione del suo volto. Gesù ha provato compassione: è questa la terapia per non chiudere gli occhi e anestetizzare il cuore.

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