Sos petitores de Andalusia
Sono persone che sembrano uscire dal passato ma sono nostri contemporanei
di Natalino Piras
5' di lettura
12 Maggio 2024

Ci sono sempre. Continuano a esistere anche in questa società dove benessere e opulenza riguardano gli altri, non loro. Molti i mendicanti che abbiamo incontrato in un recente viaggio in Andalusia. I mendicanti, sos petitores, sono una costante di narrazione. Come lo sono nel romancero e nel romanzo dei sardi: tzegos, tzoppos, istroppiados. Popolano tante strade, molteplici storie che si dipartono da chiese e santuari e ai santuari ritornano. Abitano le feste e il tempo ordinario carichi di sofferenza e dolore. Una bisaccia di tela blu sulle spalle, bussavano alle porte delle case. Non sempre gli si dava. Ricevevano un «a perdonare» invece della carità, ca a su petitore imbeleschitu sa limusina si li negat. Nella scalinata del Santuario del Miracolo, a Bitti, portavano appese al collo teche con santi di gesso, stendevano la mano, a volte il moncherino, seduti per terra, appoggiati a bastoni di legno e di ferula, voci singole che formavano coro: «Tenide caridade e cumpassione bona gente».

Di questa umanità trasformata in disumano, la pietà che si fa indifferenza, il cuore che si indurisce, ne abbiamo incontrata tanta per Cordova, Granada, Malaga, Ronda, Cadice, Siviglia, anche a Porto Banus, brutta copia della Costa Smeralda. Questi mendicanti sembrano uscire dal passato, dal tempo dell’infanzia, ma sono nostri contemporanei. Popolano la festa quale la rappresenta il turismo di massa. Nelle strade, agli angoli, ai margini, nella folla, nei santuari, nelle chiese, nelle cattedrali. Sono in mezzo a ladri di mestiere e borseggiatori, ingannatori, offrono ramoscelli di piante indefinite, parlano lingue comprensibili e no, regalano immaginette per poi mercanteggiare sul prezzo, si muovono trascinando il corpo in carrozzina. Oppure stabiliscono un punto fisso dove sistemare davanti a loro cestini, piatti, catini, cappellacci per le monete. Sembrano non vedere ma contano già con gli occhi. Uomini e donne, giovani e vecchi, bianchi e neri, cristiani e musulmani. Sempre nella folla. Negli slarghi e nelle strettoie inuve uchien s’omine a surva. Appaiono. Scompaiono. Ricompaiono. Hanno triste aspetto, malamente vestiti, a prevalenza di scuro, facce affilate, mai sorridenti e quando ridono sono ebbri, folli. I loro capelli sono ingrigiti, raccolti a coda sulla nuca o in acconciature di strana cresta, lasciati cadere sulle spalle, nascosti dallo chador quelli di alcune vecchie, barbe da via crucis gli uomini. Hanno sguardo spento oppure tagliente. Incutono paura, quella che proviene da chi non sai chi è che ti si avvicina. Insidiano. Assediano nella confusione, corpi e anime presenti nello sciamare dei turisti.

Molti gli artisti di strada, disegnatori, ritrattisti e altri improvvisatori. Sono petitores part time. Non chiedono l’elemosina ma ringraziano sempre in tono gentile per l’obolo che cade, senza fare rumore, dentro il cappello ai loro piedi. Così il mimo tinto di bianco sotto le mura dell’Alcazaba di Malaga e il chitarrista che in una piazza di Ronda, davanti a una chiesa risalente al tempo della dominazione vandala suona e canta The Sound of Silence di Simon&Garfunkel.

I gitani di un repertorio flamenco e romantico sbucano alle spalle, uscendo chi sa come dalla ragnatela dei vicoli di Granada alta. Schitarrano davanti alle tavolate di ristoranti e ristorantini che servono tapas a getto continuo, il tempo necessario perché, finita l’esibizione il cappellino che sanno come far girare, inizi a riempirsi.  

A Cadice, nella calle che porta dalla Biblioteca Municipal e superata la Peluqueria de los Santos immette poi in altri labirinti, abbiamo visto unu petitore del tutto particolare, vestito di sola giacca colore cane ughinne, una bottiglia di vino tenuta come scettro, lieto tra due venditori di cartocci di gamberetti e tocchi di tonno, il tutto per un euro. 

A Siviglia, una vecchia vestita di scuro si aggirava in carrozzina davanti al Patio de las Banderas. Spingeva, urtava, stendeva la mano, insisteva, ringraziava, ritornava dolente e disperata. Invincibile. 

Poi ci sono sani e molti ubriachi, solitari e in gruppo, seduti sulle soglie di case nuove e antiche, venditori di cianfrusaglie oppure a mani nude, imploranti l’obolo in cambio di una benedizione, di un augurio (il rovescio è la maledizione), proponenti balsami e unguenti, leggitori di mani e venditori, tantissimi, di biglietti di lotteria. Ricordano sor de sa vortuna, quelli con il pappagallo e la fisarmonica.

E altre anime dolenti, ragazzi e ragazze che avanzano camminando storti, soli, disperati, nessuno li sente nella folla, nessuno li vede, nessuno sarebbe capace di ascoltarli. A Siviglia, uno strano tipo, inchietu, è entrato nella chiesa della Macarena urlando frasi sconnesse. Lo hanno portato via le guardie giurate. Non lo abbiamo più visto. 

Così sono, così diventano sos petitores nostri contemporanei, invisibili nonostante la loro visibilità.

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