Lukielene mistica di Barbagia e cochitora
La storia di Lucia Elena Carzedda Calvisi, contadina e bracciante bittese
di Natalino Piras
Jules Bastien-Lepage, Giovanna d’Arco (1879)
5' di lettura
7 Febbraio 2021

Nel libro sulle Brujas (2006) parlo di Lukielene, una storia poi ripresa da una delle Plaquettes mastrinas di Nico Orunesu. In quelle edizioni di letteratura alla macchia la storia di Lukielene viene rapportata a quella di Margherita Porete, una mistica bruciata viva a Parigi, il 1° giugno del 1310, più di un secolo prima di Giovanna d’Arco. Eretiche entrambe, accusate dalle loro visioni ed estasi, dalle “voci”.

Pure Lukielene, Lucia Elena Carzedda Calvisi (Bitti 5.12.1895 – 18.11.1966) era una mistica. A differenza però di Margherita Porete e di Giovanna d’Arco lei era dell’osservanza cattolica, nell’ortodossia. Era una mistica di Barbagia e a Bitti abitava a confine col vicinato dei remitanos di Cadone.

La casa che divideva con la sorella Rimunnedda somigliava alla Porziuncola dove San Francesco ricevette le stimmate.

La mistica bittese, di mestiere cochitora, bracciante nella lavorazione del pane carasatu, aveva l’orto a Crastu Jacone, nella campagna dell’antica Dure, non molto lontano da Babbu Mannu.

Lukielene era contadina come le contadine e andava pure nel fiume a prendere sanguisughe. Le teneva in barattoli di vetro nuotanti nell’acqua e all’occasione le vendeva oppure le donava: servivano per i salassi. La mistica faticava come in quel tempo la maggior parte delle donne del popolo. Era il suo misticismo che colmava il divario, la differenza di ceto sociale, castas de ereu e tzente bassa allora molto forte in un paese come Bitti.

Lukielene

Tzia Lukielene aveva una faccia verginale e intensa, severa ma non arcigna come si vede nella foto sgranata, l’unica che è stato possibile recuperare. La mistica era tutte le notti in bucca ’e urru a manovrare una lunga pala per rimestare le braci, attenta a quando il pane gonfiava per toglierlo via dal fuoco e poi carpirlo ancora panelentu. Era una cochitora diversa dalle altre, non partecipava a storie di banditi e de ispiritos, cuentos e contos de cokinzu classici in quell’ambiente. Lei era una mistica, dedicata a Dio. «La donna che teme il Signore sarà lodata», dice il ricordino che le ha dedicato l’Azione Cattolica e che pure riporta, attualità di Francesco, un passaggio del Cantico delle creature: “Laudato si’ mi Signore, per nostra sorella morte corporale”.

La storia di Lukielene non ha niente di trascendentale. Il paese la accettava e la rispettava anche se c’era chi la chiamava con nome di beffa, Tronoi, in quanto stava sotto sa trona, il pulpito del predicatore. Una volta la percossero o forse uscirono dal buio per spaventarla. Soccorsa e ripresasi, Lukielene disse che era stato il demonio. Satana l’aveva insidiata perché era una donna con Dio in testa e nel cuore.

Lavorare e pregare. Una volta dovevano preparare il pane di Sant’Antonio. Chiamarono Lukielene perché sapevano che era di mani buone. Solo che la mistica aveva preso altri impegni. Il fatto di andare a lavorare il pane dolce l’avrebbe costretta a disdire. “Ma è per Sant’ Antonio”, cercarono di convincerla. “E io per Sant’Antonio forse che devo inimicarmi Dio?”.

Una vita ordinaria ma quantomai intensa. «Donna di alta spiritualità, esempio di sacrificio, paragonabile ai grandi penitenti antichi, passava le notti in preghiera ed in veglie eucaristiche riposando spesso sulla

nuda terra». Dice che era leggera e veloce. Andava scalza oppure calzando scarpe di gomma. Una volta, diretta a Gonare, ebbe una visione. Viaggiavano tutte insieme a piedi, pellegrine e noveranti. Camminavano, parlavano, pregavano. A un certo punto viene a mancare Lukielene. Era rimasta indietro, senza che neppure lei se ne accorgesse, come se stesse camminando addormentata, in piena estasi. Quando si svegliò rimproverò le compagne di viaggio: «E voi perché non mi avete aspettato?».

Per Dio, per la Madonna, Lukielene era capace di rimproverare e fare litigio. Era un suo tratto. Un’altra volta, a un funerale, a una consorella che si vergognava di aprire la fila della confraternita disse Lukielene, interrompendo il rosario: «Dici che ti vergogni di portare la croce. Ma se questo non fai, sarà Dio a vergognarsi di te, quando sarai al suo cospetto». Era di una religiosità semplice ma temprata. Mortificava il corpo e in occasioni particolari, battesimi o matrimoni, quando le invitavano caffè e dolci lei rifiutava. Quando non era in chiesa, in viaggio mistico, al fiume per le sanguisughe o a fare da cochitora, pregavano insieme alla sorella Rimunnedda nella loro Porziuncola, incuranti delle beffe di un vicino di casa che rispondeva alle preghiere a modo suo.

Lukielene restò sempre donna di forte carità e di intensa preghiera anche nel chiedere al Signore la grazia delle stimmate. Si sentì male un giorno che in una casa si stavano preparando per la cotta del pane. Le chiesero cosa potevano fare per lei. Niente. «Solo riportatemi a casa perché ho un poco di capogiro». Non fece in tempo ad arrivare. Spirò a casa di una parente, serena in volto.

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