“Sunt lacrimae rerum”, a proposito di un verso di Virgilio
Il verso virgiliano descrive perfettamente il sentire uno strazio talmente disarmante da avere l’impressione che tutto, la realtà, le cose, sembrino condividere lo stesso dolore
di IV C Liceo Classico Nuoro
7' di lettura
12 Ottobre 2022

Nel suo discorso, rivolto il 30 novembre 1981 ai membri della fondazione “Latinitas” e ai vincitori del Certamen Vaticanum dedicato al poeta Virgilio, San Giovanni Paolo II afferma tra l’altro: «Virgilio fu poeta fornito di un altissimo senso di umanità. Chi non ricorda quelle famose parole, testimonianza di un animo commosso e addolorato, tanto brevi, concise ma significative che difficilmente si possono tradurre con parole nostre: Sunt lacrimae rerum? L’uomo non piange solo per l’avversa fortuna, ma anche le cose stesse quasi piangono e conoscono le lacrime».

Abbiamo inteso focalizzare la nostra attenzione proprio sulla famosa espressione latina Sunt lacrimae rerum che ci sembra indubbiamente dimostrare ancora una volta non solo la straordinaria pregnanza della lingua latina ma anche la sua persistente capacità di evocare, attraverso le parole di un poeta tanto lontano come Virgilio (70 – 19 a. C.), considerazioni e riflessioni che possono utilmente essere declinate anche al nostro tempo.

Nel primo libro dell’Eneide Enea pronuncia queste parole rivolgendosi ad Acate dinnanzi ad una serie di incisioni sulla guerra di Troia, all’interno di un tempio cartaginese, raffiguranti le battaglie e la morte dei suoi amici e connazionali per i quali egli aveva valorosamente combattuto. Da allora queste tre parole risuonano nella mente di studiosi, letterati, studenti, alla ricerca del vero significato che l’autore voleva dare a questa espressione.

Lacrima, -ae è un’espressione latina che significa “lacrima, pianto”. Non è da sottovalutare la forza emotiva e vitale di questa parola: l’uomo nasce piangendo, cresce piangendo, molto spesso muore con le lacrime agli occhi. È con il pianto che l’essere umano nel suo divenire esprime i suoi bisogni primari, come fame, sete, freddo, caldo. Successivamente invece il pianto sarà espressione di emozioni e sentimenti più complessi ed elaborati, come dolore, rabbia, infelicità, ma anche felicità, commozione, nostalgia. Il pianto è anche un salvagente psicologico, riduce stress e tensione nel corpo. Al termine lacrimae è associato rerum, letteralmente “cose”, ma anche “avvenimento, situazione, realtà, sostanza, lite, fatto, impresa, causa, motivo, governo”.

La ricchezza semantica di res è il vero interrogativo che ha pervaso da sempre questo verso virgiliano: come va tradotto? Per essere più precisi il verso per intero è sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt («sono le lacrime delle cose, e le cose mortali toccano la mente»). Una prima interpretazione può riguardare la storia: avvenimenti infelici come la guerra di Troia, soggetto delle incisioni viste da Enea, provocano pianto e tristezza; mortalia è un brutale ricordo della precarietà della condizione umana, riconosciuta dalla mens, che per scacciare la tensione della verità provoca il pianto. Qualsiasi cosa di umano tocca nel profondo l’uomo, l’animale sociale per definizione.

Il dizionario di Latino “Scevola-Mariotti” traduce quest’espressione con «si versano lacrime sulle sventure», considerando quindi gli avvenimenti della storia come sventure per l’uomo, e per questo meritevoli di pianto. La res per eccellenza nella vita di Enea è la sconfitta nella guerra, è l’avvenimento cardine che segna la sua vita: gli oggetti, in questo caso le incisioni, sono memori del ricordo e della storia, e riproiettano in maniera violenta a colui che li guarda i momenti tragici degli avvenimenti. Il filologo italiano Augusto Rostagni traduce l’espressione con «La storia è lacrime»: la poesia di Virgilio è attraversata dal sentimento della empatheia, lo stare dentro i sentimenti e le sofferenze degli altri, prestando attenzione alle più umili creature, che si tratti del dolore di un umile pastore, o della fatica di un animale stremato dal duro lavoro tanto quanto ai più noti eroi del mito e della storia.

Robert Fagles traduce, in inglese: «The world is a world of tears, and the burdens of mortality touch the heart», in italiano «il mondo è un mondo di lacrime e i fardelli della mortalità toccano il cuore». È la tristezza che le cose della vita ci arrecano. Ma l’espressione può richiamare anche la malinconia in merito agli oggetti relativi al passato di ognuno di noi, come se le cose piangano il loro essere state abbandonate e il non far più parte di quella quotidianità che le ha caratterizzate.

Il vero motivo per cui forse non c’è soluzione alla domanda “come va tradotto questo verso?” è perché la risposta è soggettiva e personalissima. Forse Virgilio ha volutamente lasciato ambiguo il messaggio con l’intento di far tradurre a noi stessi la parola rerum. Tutti abbiamo la nostra res, il nostro avvenimento, la nostra battaglia, il nostro oggetto speciale che ci ricorda qualcosa e ci pizzica il cuore ed oggetti definiti inanimati hanno in realtà il potere di conservare una storia. Allora non si intende che gli oggetti piangono, ma che noi ci rattristiamo vedendo determinate cose che hanno un significato molto più profondo e nascosto di quanto una qualsiasi persona possa vedere. Virgilio voleva scoprire il cuore di Enea, proiettarlo in una condizione più umana, debole.
Tutti abbiamo qualcosa per cui piangere, come tutti abbiamo qualcosa per cui vale la pena lottare, tutti abbiamo una battaglia da combattere. Le lacrime e il dolore sono insite nelle cose umane: basti pensare che nasciamo piangendo, e che, come dice il grande Leopardi, quelle lacrime versate non appena veniamo al mondo sono il presagio di come la vita riserverà ad ognuno di noi momenti di sofferenza e dolore. Conflitti, povertà, violenza, disuguaglianza, emarginazione, disagi, forme di sofferenza sono parte di una realtà che porta solo sconforto e delusione per l’umanità.
Rerum” al giorno d’oggi potrebbero corrispondere agli orrori della guerra in Ucraina, alle devastanti inondazioni in Pakistan, alla malnutrizione dei bambini in Chad, in Sudan, in Somalia e nel Sahel, alla paura nella quale continua a vivere il popolo Rohingya a cinque anni dalla fuga dalle uccisioni di massa, dagli stupri e dalle sistematiche violazioni dei diritti in Myanmar.

Il verso virgiliano descrive perfettamente il sentire uno strazio talmente disarmante da avere l’impressione che tutto, la realtà, le cose, sembrino condividere lo stesso dolore.
Ma la frase può anche risvegliare un grande spirito di solidarietà e amore per il prossimo, strettamente connessa alla celebre massima terenziana: Homo sum: humani nihil a me alienum puto. Siamo tutti umani e in quanto abitanti dello stesso pianeta è necessario rispettare e riconoscerci eguali l’uno con l’altro.

Nel suo libro La persona e il sacro Simone Weil scrive: «Qualcosa in fondo al cuore di ogni essere umano, nonostante tutta l’esperienza dei crimini compiuti, sofferti e osservati, si aspetta invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male. È questo, anzitutto, che è sacro in ogni essere umano»: è ciò che Seneca chiama humanum officium, ossia il «dovere degli uomini verso altri uomini» . Una flebile fiamma che splende in noi, ovvero la speranza, ci anima di fiducia per il futuro e ci ricorda come le lacrime non sono solo fonte di dolore bensì anche motivo di commozione e gioia: «In tutte le lacrime indugia una speranza» . (Simone De Beauvoir).


A cura degli alunni della classe IV C del Liceo Classico “G. Asproni”di Nuoro: Agnese Balloi, Angela Cerullo, Antonella Contu, Ferruccio Ferrandu, Matteo Floris, Maria Fronteddu, Aurora Medde, Gianna Patteri, Carola Pira, Rachele Piras, Ilenia Podda, Giulia Siotto, Silvia Spanu. Coordinamento didattico: Venturella Frogheri.

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