Tutti siamo missionari liberi e gioiosi
Commento al Vangelo di domenica 3 luglio 2022 - XIV Domenica del Tempo ordinario - Anno C
di Michele Casula
Johannes Raphael Wehle, Gesù con i discepoli
5' di lettura
3 Luglio 2022

Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù manda i suoi discepoli, li rende protagonisti del suo progetto di salvezza. Invia a fare la sua missione settantadue discepoli (numero simbolico che rappresenta l’intera umanità). Possono essere al servizio della messe di Dio tutte le persone che si fidano di Dio e aiutano il mondo a far fruttare il bene che già c’è in abbondanza. Come discepoli abbiamo il compito di far sì che l’amore di Dio seminato nel mondo non vada perduto e che sempre più persone si sentano coinvolte in questa raccolta di bene. Tutti siamo missionari del Vangelo, tutti siamo chiamati a lavorare per Dio. Gesù poi indica lo stile di questa missione e anche il modo perché sia efficace. La povertà dei mezzi è il primo stile della missione: lavorare per Dio che già lavora nel cuore del mondo ci porta a fidarci di Lui, non delle nostre sicurezze umane. La fiducia in Dio è fiducia nel prossimo, abbassando le difese con le quali spesso affrontiamo le persone. Lavorare per il campo di Dio significa fidarsi del prossimo, prendersi cura gli uni degli altri: con le parole ma ancor più con i gesti far capire a chi abbiamo davanti che il Regno di Dio è vicino. Qual è la vera gioia dell’apostolo? Nel Vangelo di oggi leggiamo che dopo aver vissuto la loro missione, gli apostoli ritornarono da Gesù, riferendo tutto quello che era successo. Gesù fa loro capire che la vera gioia non sta nel successo raggiunto attraverso l’apostolato, ma l’aver raggiunto e fatto raggiungere la meta finale, quella della salvezza eterna, sottolineata da Gesù in questa espressione finale del Vangelo di oggi: rallegrarsi «nel sapere che i nostri nomi sono scritti in cielo». Per cui la missione non è la liberazione dalla possessione diabolica, ma il raggiungimento della propria salvezza eterna. E per raggiungere questo scopo gli inviati da Gesù per evangelizzare devono essere poveri e distaccanti. Essi non possono fermarsi alle prime difficoltà o magari, raggiunto l’apice del successo, dire che non hanno bisogno di ricominciare. Lo stesso Paolo, nel brano tratto dalla lettera ai Galati, ci invita a porre il nostro vanto nella croce di Gesù e non nell’esaltazione di noi stessi e del nostro affermarci, anche nel mondo della Chiesa, per ostentare privilegi e onori. Lasciarsi crocifiggere per amore di Cristo e portare in noi le stimmate del Signore, per essere testimoni della croce. Abbiamo, oggi, in un mondo globalizzato la consapevolezza che «la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai»! E gli operai del Vangelo non sono solo i preti, ma sono anche i genitori, primi missionari nella loro rispettiva famiglia. Dobbiamo sì pregare il Signore perché mandi operai nella sua messe, ma dobbiamo incominciare ad assumerci direttamente noi il nostro compito di evangelizzare, partendo dalla famiglia.

Papa Francesco nell’Evangelii gaudium ricorda ai cristiani: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi».

Gesù ci invia, ma non per lamentarci sopra un mondo distratto e lontano, bensì ad annunciare un capovolgimento: il Regno di Dio, Dio stesso si è fatto vicino. Noi diciamo: c’è distanza tra l’uomo d’oggi e la fede, l’uomo si è allontanato da Dio! E Gesù invece: il Regno di Dio è vicino. Siamo invitati a portare il volto di un Dio in cammino con noi, che entra in casa, che non se ne sta nel suo tempio. «In qualunque casa entriate dite: pace a questa casa». Non una pace generica, ma a questa casa, a questi volti. «La pace va costruita artigianalmente, a cominciare proprio dalle case, dalle famiglie, dal piccolo contesto in cui ciascuno vive» (Papa Francesco). Pace è una parola da riempire di muri da abbattere, di perdoni chiesti e donati, di fiducia concessa di nuovo, di accoglienza. Gesù e i suoi proclamano che Dio si è avvicinato, scavalcando tutto ciò che separava la terra dal cielo; è un padre che abbatte tutto ciò che divide ed emargina.

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