Dati societari
L’Ortobene
Piazza Vittorio Emanuele 8
08100 Nuoro
–
Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
C.F. 93003930919
–
Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Talvolta abbiamo bisogno che la Parola sbricioli le nostre illusioni e le nostre convinzioni. In particolare, esiste un’illusione estremamente pericolosa nel camino di fede: credere che la fede debba metterci al riparo dall’esperienza della fatica, della lotta, del dolore. La fede, in quest’ottica, è vista solo come rifugio che deve garantire protezione e il Signore finisce per ridursi a colui che deve scansarmi dai problemi o comunque risolverli.
A riprova di questo, dobbiamo tutti ammettere che in alcuni momenti particolarmente difficili, abbiamo pensato a Dio come ad un insensibile patrigno, fino a pensare di essere stati abbandonati da Lui. Talvolta, abbiamo vissuto il tempo del dolore, qualunque esso sia, più come una condanna che come un’occasione di crescita.
In effetti, da nessuna parte nel Vangelo, è detto che essere discepoli di Gesù sia facile. Anzi, sappiamo bene che il solo desiderare di essergli fedeli e il solo volergli appartenere senza riserve, implica inevitabilmente la prova e la contraddizione.
La presa di coscienza della propria fragilità è sempre la necessaria premessa per una vita riconciliata e, di conseguenza, di un cammino di discepolato autentico e felice. Ciò che può paralizzare un’esistenza, allora non è la fragilità, ma la paura. È per questo che il Vangelo per ben tre volte, ripete proprio l’esortazione a non aver paura.
Già nella prima lettura, il profeta Geremia sperimenta l’ostilità e la cattiveria che minaccia la sua stessa vita. Ciò che rende forte il suo cuore è proprio la certezza della presenza del Signore accanto a lui, «come prode valoroso», pronto a difenderlo e a ribaltare totalmente la sua sorte. I suoi nemici cercano vendetta, ma è Dio stesso il “vendicatore” del profeta. A Lui il profeta ha affidato la sua “causa”, perciò il tempo della prova, anche se lungo e pesante, si conclude sempre con la gioia della liberazione.
Così anche San Paolo, scrivendo ai Romani, annuncia on forza la vera e totale riconciliazione, che supera e cancella ciò che veramente può costringere la nostra vita nell’oscurità, il male del peccato. Il dramma della morte, figlio della disobbedienza, è definitivamente vinto dal «dono di grazia» in Cristo Gesù.
Il Vangelo di Matteo si muove su tre direttrici, segnate proprio dall’invito solenne a non aver paura. La prima direttrice riguarda in particolare l’urgenza dell’annuncio. È necessario ricordare che la ricchezza e la potenza della Parola sono affidate alla nostra debolezza. Non possiamo permettere che le nostre paure o le nostre convenienze influenzino negativamente una testimonianza credibile della nostra fede. La Parola che annunciamo infatti, non è nostra, ma ci è stata affidata. Gesù ha parlato a noi, nell’intimità del cuore e nel nascondimento della preghiera, e noi siamo chiamati ad annunciare “dalle terrazze”, perché tutti possano ascoltare e convertirsi.
La seconda direttrice riguarda invece la possibilità del rifiuto e dell’ostilità. Può accadere che annunciare il Vangelo attiri su di noi la persecuzione e la contraddizione, perché il mondo istintivamente rifiuta ciò che non gli appartiene. La vera tragedia sarebbe però venir meno alla fedeltà al Vangelo.
Nell’ultimo caso, Gesù ci rincuora, ricordandoci il nostro immenso valore dinanzi a Lui. Il Padre ci conosce e ci custodisce, e nulla ci può accadere se Egli non lo permette.
Il Vangelo si conclude con un gioco di due verbi, riconoscere e rinnegare, che indicano magistralmente la sequela. Per essere riconosciuti da Gesù come suoi, dobbiamo riconoscerlo come nostro Salvatore e Signore dinanzi agli uomini. L’eventualità del rinnegamento, sempre così possibile e insieme così drammatica, ci deve mettere al riparo da ogni superbia e ipocrisia. Come sempre, è l’umiltà la chiave di tutto, che mi fa accogliere la fragilità e superare qualsiasi paura.