Storia e retorica non sono gemelle. Da tempo urge un disarmo ideologico
di Francesco Mariani

27 Aprile 2023

3' di lettura

La retorica della Resistenza ci fa dimenticare verità storiche cruciali. La prima è che l’Italia ha perso la Seconda Guerra Mondiale. A furia di beatificazioni partigiane abbiamo l’illusione di aver cacciato noi i nazisti e liberato il Paese. In verità senza l’intervento delle potenze occidentali (soprattutto gli anglo-americani) i tedeschi li avremmo avuti in casa per molto altro tempo. La Resistenza ha contribuito solo marginalmente alla liberazione dell’l’Italia e non ha avuto nessun peso importante sulle sorti della guerra. Questo non significa sminuire o offendere quanto fatto da coloro che hanno combattuto il nazi-fascismo (ai quali va sempre la dovuta riconoscenza) ma semplicemente riconoscere un dato storico. 

Gli attentati alle truppe tedesche hanno provocato tragiche rappresaglie ma non hanno certo accelerato la fine del conflitto. Con l’8 settembre del 1943 è cominciata la pagina più vergognosa della nostra storia: basti pensare al messaggio di Badoglio, al comportamento del Re, ad un esercito lasciato in balia di se stesso, ad una popolazione che non sapeva cosa fare e con chi stare, alla fame che imperversava. Tantissimi si sono trovati da una parte o dall’altra per puro caso. In troppi sono finiti in campo di concentramento.  

De Gasperi, quando va a Parigi in occasione del Trattato di pace tra l’Italia e le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, ci va in rappresentanza di un Paese sconfitto e disprezzato. Venne accolto, come raccontano le cronache di allora, “da un gelido silenzio”. I rappresentanti delle nazioni sconfitte potevano essere ascoltati, ma non partecipare alla discussione. “Entrino gli italiani”, aveva ordinato il presidente della conferenza, il francese Georges Bidault. De Gasperi scontava il paradosso di un uomo perseguitato dai fascisti ed ora rimproverato dai governanti dei paesi vincitori per le colpe dei suoi persecutori.

Non a caso all’inizio del suo intervento disse: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. “Tranne la vostra personale cortesia” significa che il nostro Primo Ministro contava solo sulla buona educazione dei presenti. Alla fine del discorso non ricevette alcun plauso ed anzi il silenzio era rimasto assoluto. Nessuno dei presenti disse una parola o fece un cenno di saluto. Tutta questa ostilità colpì il ministro degli esteri americano, James Byrnes che lo giudicò “inutilmente crudele”. E quando De Gasperi passò davanti a lui, si alzò e gli tese la mano. Unico gesto di signorilità verso un’Italia ritenuta politicamente, economicamente, moralmente inaffidabile.

Se la Resistenza fosse stata determinante per far vincere gli alleati, certamente De Gasperi si sarebbe appellato a questo fatto. Ma i nostri partigiani non avevano avuto il ruolo strategico di quelli francesi. E infatti De Gaulle ottenne che fossero i francesi a liberare Parigi e sfilassero per primi lungo gli Champs Elisées per celebrare la vittoria. Cosa ben diversa dall’Italia.

Raccontarsi che abbiamo vinto, inventarsi dei miti fondativi ha poco senso sul piano della storia e dell’oggi. Quando poi la Resistenza diventa sinonimo di comunismo, di una fazione, seppur nobile, interessa davvero a pochi. E infatti il 25 aprile è la festa civile meno coinvolgente per gli italiani.

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