Nella sanità a rischio anche l’essenziale
di Francesco Mariani

22 Gennaio 2023

3' di lettura

“In tre stanzucce erano presenti 13 ricoverati. Le cucine erano all’aperto. L’assistenza veniva assicurata da due medici: i dottori Lostia e Rossi. Due-tre volte la settimana veniva da Sassari il professor Delitala, valente chirurgo. Il corredo era costituito da dieci lenzuola e sette camici. Le strutture erano inesistenti. Ricordo che per riscaldare i malati facevamo il fuoco in cortile e poi si portava nelle corsie un po’ di brace. Spesso per dare da mangiare ai malati andavamo a raccogliere verdure, funghi e ortaggi. Raccoglievamo di tutto, andando in campagna… Con me c’erano suor Luisa e soprattutto suor Caterina Mangoni. Quella lì non era mai stanca. Era addetta alla cucina. Morì al suo posto di lavoro, in cucina, dopo aver tagliato col coltello 320 fettine per i malati. Suor Caterina ogni tanto bisticciava con San Giuseppe. Quando non c’era più niente da dare da mangiare ai malati lo rimproverava. Una volta, per punizione, girò verso il muro il quadro che raffigurava il santo”. 

È un passo delle memorie di suor Raffaella Colombo, a tutti nota come suor Giuseppina, vincenziana, arrivata a Nuoro nel 1933, nel San Francesco di allora. I ricordi dell’ieri servono per apprezzare i giganteschi cambiamenti in positivo avvenuti nel tempo e per esorcizzare in rischio di tornare indietro. Più che un rischio è un dato di fatto: l’ospedale San Francesco sta perdendo la sua centralità, i suoi pezzi pregiati, la sua efficienza. Certamente, c’è una emergenza sanitaria che riguarda tutta la Sardegna e l’Italia ma da noi gli effetti negativi sono davvero clamorosi. Il crollo del servizio sanitario si somma con la soppressione di altri servizi pubblici, con la chiusura di uffici importantissimi, con la farraginosità ed inefficienza, con una presenza dello Stato che sembra tornare indietro nel tempo, a quando era affidata ai carabinieri e agli esattori.

Paghiamo a caro prezzo la nostra irrilevanza politica, la nostra subalternità a Cagliari e Sassari, la nostra carente competitività ed attrattiva, l’assenza di scelte strategiche e di piani di sviluppo coerenti. Per le regole del mercato, investire a Nuoro significa perdere in partenza. Si fa una fatica enorme a difendere l’esistente, figuriamoci a migliorarlo.   

Centodiciassette medici del San Francesco hanno presentato un esposto alla Procura. Denunciano la crisi di personale del nosocomio barbaricino, dove «non sono più garantiti i livelli essenziali di assistenza, per cui si ritiene che possano ravvisarsi profili di illiceità». Hanno compiuto un atto coraggioso sfidando l’imposizione del silenzio e dell’omertà che regna nella Asl. Un paradosso incredibile: chi sta male non lo può dire, non può liberamente parlarne.

Dopo aver svenduto, in gran parte ad aziende straniere, l’immenso patrimonio pubblico nazionale (da Telecom ad Enel, tanto per fare un esempio) sta arrivando il turno della sanità. A fronte di un servizio pubblico che arranca ci sono imprese sanitarie private che scalpitano. E anche qui si sventola la bandiera del modello anglo-americano, al quale, in verità, abbiamo ben poco da invidiare.

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