Mi hanno rubato le parole
Manipolare le parole per dominare le menti
di Francesco Mariani

22 Giugno 2023

3' di lettura

Da sempre, ogni Potere terreno ha l’intrinseca pretesa di riscrivere il linguaggio, le parole, l’idioma del popolo. «La parola è la chiave fatale che apre ogni porta» diceva don Milani. È vero. Se quando a mio padre, intelligente analfabeta, mai andato a scuola, morendo tra le mie braccia, gli avessi detto “papà”, “babbo”, genitore B, non avrebbe capito, non ci saremmo capiti, e anzi mi avrebbe redarguito in malo modo. Per lui il linguaggio era identità, storia famigliare, infima ed intima, e quindi lo dovevo chiamare per sempre “babbu”. E così ho fatto fino all’ultimo, interminabile abbraccio.

«La distruzione delle parole è una cosa molto bella!», esclamava Syme, nel romanzo di George Orwell, 1984. Ogni Potere ha manipolato il linguaggio per asservire a se stesso la realtà. Ignazio Buttitta diceva che un popolo «diventa poviru e servu/ quannu i paroli non figghianu paroli/ e si mancianu tra d’iddi». Remundu Piras esortava: «O sardu, si ses sardu e si ses bonu/ sempre sa limba tua apas presente: no sias che isciau ubbidiente/ faeddende sa limba de su padronu». La parola è comunque l’altra faccia del potere. Ma la realtà è più testarda delle parole che inventiamo e prima o poi lo capiremo. Sempre dovremmo capirlo.  

Alcuni esempi. L’aborto si chiama “ivg”, ovvero interruzione volontaria della gravidanza; gli omosessuali si tramutano in “gay”, cioè gaudenti; l’utero in affitto diventa GPA (gestazione per altri); anziché maschio/femmina abbiamo cinquanta gender fluid, cioè senza un genere definito, anche per cani e gatti. Tralascio l’abuso di parole inglesi, che mi fanno fare brutte figure in ogni rassegna stampa di Radio Barbagia ed in ogni dove: premier, leader, leadership, governance, new economy, job act, spread, bound, spending review, rating, default, welfare, road map, election day, team, staff, authority, privacy, know-how, deadline, devolution, new entry, outsider, meeting…

Il linguaggio è il principale strumento di interazione tra gli esseri umani e quindi, potenzialmente, anche di manipolazione. Grazie a un abile uso del linguaggio è possibile influenzare le decisioni di chi ci circonda. Questo avviene nel campo della pubblicità, dell’informazione e della politica così come nelle nostre relazioni quotidiane in famiglia, nel lavoro e con gli amici. Più che alla ragione, parole, grammatica e sintassi sono rivolte alle emozioni ed agli istinti. Mirarono non a far pensare ma a manipolare l’umano.

Da qui tante parole il cui significato è travisato, improprio, spesso insensato. Una realtà confusa, liquida, indistinta, genera un pensiero confuso, che, a sua volta, genera un linguaggio altrettanto confuso. Le parole tendono a perdere il loro significato originario e vengono usate in maniera impropria. Capita spesso che le cose non vengano più chiamate col loro vero nome. Questo relativismo, questa mancanza di connessione tra linguaggio e realtà, permette di manipolare la realtà stessa e di incantare gli interlocutori. Riappropriarsi del senso delle parole è una rivoluzione da fare.

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