Mancata coesione sociale e connesso disastro sanitario
di Francesco Mariani

24 Settembre 2021

4' di lettura

C’è una sproporzione eccessiva tra le dichiarazioni del presidente della Regione sull’efficienza del sistema sanitario sardo e l’esperienza quotidiana di grave inefficienza che invece ne fanno i pazienti, soprattutto quelli del Nuorese. Il primo dovere per noi è non accettare questa rassicurante versione ufficiale, perché non corrisponde al vero. Oggi il dato più evidente è che il mondo rurale dei paesi è abbandonato e i presidi ospedalieri urbani, in testa il San Francesco di Nuoro, faticano a garantire le cure ordinarie, figuriamoci quelle particolari e di maggiore impegno. Non esiste la medicina territoriale.  Non è compito nostro indicare le soluzioni, ma è nostro dovere non mentire e per non farlo siamo costretti a denunciare che la sanità nel Nuorese, ma ci pare in tutta la Sardegna, è in una situazione di grave e profonda crisi. Ci pare che manchi un’idea di sanità perché manca un’idea di Sardegna. Chi governa dovrebbe avere più a cuore la coesione interna dell’Isola, sempre e costantemente nei secoli messa in grave difficoltà dalle cicliche crisi demografiche, economiche e politiche. La coesione dei sardi non si raggiunge garantendo i diritti essenziali nelle aree urbane costiere e negandoli o garantendoli al minimo nelle aree interne. La ragione di questo privilegio urbano sta nell’incapacità di elaborare modelli gestionali delle infrastrutture e dei servizi calibrati sulle caratteristiche geografiche e demografiche della Sardegna, non sui modelli peninsulari. La sanità sarda, dai tempi della Dirindin, è stata disegnata sul modello della cosiddetta efficienza lombarda, cioè su una sanità accompagnata da alte concentrazioni di popolazione in zone altamente infrastrutturate e ad alti coefficienti di sviluppo economico. L’opposto della Sardegna. Il modello hub (centro) and spoke (raggio), funziona laddove il centro è Milano e i raggi sono le reti e le risorse economiche lombarde, ma non funziona in una regione che ha bisogno di decentrare i “centri” collocandone diversi nelle periferie rurali. Il risultato di questa dipendenza culturale è stata la progressiva cannibalizzazione degli ospedali di Nuoro e di Oristano a favore di Cagliari e Sassari, con tre quarti della Sardegna abbandonati al rango di bacino di utenza dei due centri ospedalieri. A tale difetto di cultura e di concezione si è aggiunta l’infiltrazione lobbistica, in parte massonica e in parte no, e la protervia burocratica. Non è sopportabile dover chiedere a chicchessia il favore di essere curati e fare in modo, così, che nascano piccoli potentati in camice bianco. Vi sono poi dirigenti del servizio sanitario che interpretano il proprio ruolo come l’esercizio legittimato di una microtirannide, senza che alcuno possa opporvisi. Nuoro non fa eccezione. Sarebbe opportuno che per essere visitati e curati non ci si debba iscrivere ad alcuna loggia né chiedere la grazia a chi dovrebbe, per legge, essere al servizio dei cittadini e non pretenderne l’omaggio. In ultimo, come non registrare amaramente che se tutto ciò è accaduto lo si deve anche a un impoverimento drammatico della rappresentanza politica delle aree interne, con i ruoli istituzionali interpretati più per la costruzione di percorsi di successo personali che per rappresentare e guidare il popolo. Il Nuorese è amministrato a tanti livelli, ma non è rappresentato politicamente come dovrebbe a nessun livello, perché se fosse vero il contrario, questa drammatica umiliazione sanitaria non ci sarebbe. © riproduzione riservata Nella foto di Gigi Olla lenzuola bianche alle finestre dell’ospedale san Francesco in segno di solidarietà con i manifestanti partiti per Cagliari il 24 settembre.  

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