9 Maggio 2024
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Piccola riflessione su una tragedia che a Nuoro si sta ripetendo spesso seppure, per pudore e dolore, sottaciuta: i suicidi. Il darsi la morte è sempre un trauma che lascia, in chi rimane, ferite profonde, senso di impotenza, domande aperte sulla propria incapacità di cogliere la situazione reale del fratello e dell’amico. La vita è quel dono inestimabile, unico, da accogliere e custodire, averne cura preziosa, far fruttificare. Quando una persona a noi cara decide, per motivi che mai capiremo sino in fondo, di rifiutare questo dono, si rivela il mistero che è ogni persona, il dramma della libertà che rende ciascuno responsabile ultimo delle proprie scelte, ma svela anche la sofferenza intima, profonda che c’è dietro a tale gesto.
La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane sempre in relazione speciale con il suo Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita, dal suo inizio alla sua fine, e nessuno, in ogni circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggerla. Noi non siamo proprietari della vita ma amministratori di un dono ricevuto e non possiamo, come credenti, disporne a piacimento. La morte spezza tragicamente i legami più intimi e sacri, quelli familiari e sociali, lasciando ferite insanabili.
Se nessuna “cosa creata” può separare un cristiano dall’amore di Dio, e anche un cristiano che si suicida è una “cosa creata”, allora nemmeno il suicidio può separarlo dall’amore di Dio. Gesù è morto per tutti i nostri peccati… e se un autentico cristiano, in un momento di debolezza, dovesse suicidarsi, quello sarebbe un peccato per cui Gesù è morto. Scrivo questo perché di molti suicidi non viene chiesto il funerale religioso. La Chiesa non lo nega, vi si rinuncia quasi vi sia un senso di colpa.
Il suicidio è un peccato serio contro Dio. Secondo la Bibbia, è sempre sbagliato. Non c’è alcuna circostanza che possa giustificare qualcuno, specialmente cristiano, che si tolga vita. I cristiani sono chiamati a vivere per Dio: la decisione su quando morire spetta a Dio e a Lui soltanto. Ma è anche vero che non possiamo giudicare, entrare nel cuore di chi ricorre a questo gesto perché soloDio, ricco di misericordia, lo conosce. E proprio Dio, che non ha risparmiato il suo unico Figlio per noi, come non creerà le occasioni per un pentimento, per non perdere neppure uno solo dei suoi figli? Egli è il Pastore delle pecore, che si prende cura di ciascuna di esse, le cerca, lascia le novantanove per quella che si è persa; è il Padre misericordioso che rimane alla finestra per guardare da lontano e attendere il ritorno del figlio perduto. La rivelazione della misericordia di Dio diviene fonte di speranza, perché il Paradiso è stato aperto a caro prezzo: la morte del Figlio di Dio!
Nella fede crediamo in questo folle amore che vuole tutti salvi e preghiamo per quei fratelli che, ripeto, per motivi a noi sconosciuti, non hanno saputo o potuto apprezzare il dono inestimabile della vita. Nella comunione dei santi la preghiera di molti raggiunge quelle membra sofferenti e supplisce alle loro mancanze. La preghiera diviene un’alta forma di carità e di misericordia e ci rende intercessori, presso Dio, per i fratelli vivi e i defunti, che sono nella sofferenza. Ci rende più responsabili della vita di chi ci sta accanto perché impariamo a farci prossimo, attenti alle persone e alle loro sofferenze nascoste, delle quali prenderci cura, perché la promessa di vita che abbiamo ricevuto, si realizzi per ognuno.