Il soffocato bisogno di essere comunità
di Francesco Mariani

24 Novembre 2023

4' di lettura

C’è un limite di fondo nel dibattito politico in vista delle elezioni regionali che merita una riflessione. I sardi, come gran parte dei paesi occidentali, dicono a parole di essere popolo, nazione, comunità ma in realtà sono declinazioni dell’individualismo, del soggettivismo, del narcisismo. Questo non riguarda solo la sfera politica ma il vivere e pensare quotidiano, l’abitare in un condominio ed in un quartiere, il lavoro, la famiglia e lo svago.

Andando oltre le narrazioni usuali, a me pare che non riusciamo ad essere una comunità e di questo vivere in comunità abbiamo perso il senso ed il sapore. Una sommatoria di individui non corrisponde ad un popolo: due solitudini non fanno una compagnia ma una solitudine più grande. Ad ogni livello viene prima l’io e molto dopo, se viene, il noi: ci pensiamo e comportiamo solo da individui. L’isolamento, di cui ci lamentiamo, prima che geografico è diventato esistenziale. Pertanto diventa arduo il decidere su un qualcosa riguardante il cosiddetto bene comune. L’egoismo e l’egocentrismo degradano nella soggettività come criterio di giudizio: si tratti di pale eoliche o di peste suina africana, di fare quella strada piuttosto che un parco, di aggiustare un marciapiede o abbattere un albero pericolante, di denatalità o ludopatia.  

Per tanto tempo l’orizzonte sociale dei sardi è stata la “famiglia esclusiva”, ben studiata da Luca Pinna. Una famiglia-azienda che assorbiva ed esauriva in sé tutte le capacità e potenzialità dei suoi membri. I legami comunitari coincidevano o venivano dopo quelli familistici e parentali. Oggi che l’istituto famigliare è in crisi profonda si ripiega su se stessi, si ha una declinazione del primato assoluto dell’individuo. Tutto diventa liquido e reversibile; dall’appartenenza politica ai legami di gruppo e di coppia.

I legami comunitari sono stati sostituiti dalla convergenza nel consumo degli stessi prodotti, dall’adozione della moda del momento e del pensiero unico. Un grande mercato dove tutto è in vendita e l’umano è sostituito dal denaro. Dove i rapporti interpersonali diventano utilitari, di convenienza e quindi volatili. L’identità viene ridotta a folklore, a qualcosa dei tempi passati visto che il presente è in mano a poteri che ci usano ma non ci amano.  

Se lasciamo i piccoli centri (dove un po’ di legami comunitari esistono ancora) e visioniamo la Sardegna nel suo insieme ne traiamo subito una sensazione di sconforto la cui incarnazione è l’inizio della campagna elettorale per le prossime regionali. Si parla di progetti per il futuro dell’Isola ma di fatto non ci sono perché manca una visione comunitaria. Un minestrone di campanilismi non rende l’idea del bene comune per la Sardegna. Il consenso politico non si coagula purtroppo nell’adesione alle grandi idee ma attorno a relazioni personali, non in programmi e capacità di governo ma in scambi sociali e favori. Se manca la coscienza di essere comunità ed avere una identità le sfide per l’avvenire le abbiamo già perse in partenza. Chi ama solo sé stesso non può amare gli altri; chi vive per la propria gloria non riesce minimamente a pensare ad una comune vittoria. Dove manca la comunità non c’è spazio per l’amore ed il buon umore.

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