Il narcisismo politico umilia la democrazia
di Francesco Mariani

19 Aprile 2023

3' di lettura

Alcide De Gasperi diceva che per avere un’idea sul tipo e qualità della democrazia di un Paese, bisogna guardare i meccanismi ed il sistema organizzativo di democrazia interna dei partiti che in esso esistono. Dal modo come i partiti coniugano la loro democrazia interna dipende l’orizzonte che si vuole indicare per quella di tutto il Paese. 

De Gasperi pensava e credeva che senza il consenso interno ai partiti non si poteva avere quello del popolo. Dopo lo scioglimento, per via giudiziaria, dei partiti (ricordiamo “Mani Pulite”, quello sì che è stato un vero e proprio colpo di Stato!) ci ritroviamo a scimmiottare, come spesso accade in tutti i campi ed idee, il modello anglo-americano, in cui la politica è fatta di leadership, Parlamento, piazze e comunicazione. Quattro elementi che hanno un presupposto: negli Usa i partiti non esistono, sono comitati elettorali dei leader, organizzati attorno alla persona, con la proposta politica personalizzata come si fa con i prodotti da reclamizzare. Sono gli effetti dei sistemi maggioritari. In Italia il Pd è l’unico (ed ultimo?) partito che resiste all’idea della personalizzazione leaderistica. Quando ci hanno provato timidamente Veltroni e, più pesantemente, Renzi, a costruire una stagione sulla propria leadership è andata a finire male. Ma il Pd è nato dall’incontro tra due partiti non padronali. 

I grandi partiti di un tempo erano la rappresentazione dell’intera società e al proprio interno dovevano fare sintesi tra culture e territori diversi tra loro. Ognuno aveva le sue personalità di spicco ma c’era anche l’alternanza nei ruoli. Nelle formazioni leaderistiche non ci sono alternanze: nascono e muoiono con lo stesso protagonista. In molte di esse non ci sono neanche congressi o elezioni: vanno avanti per cooptazione e designazioni fatte dal capo. Più che partiti sono dei movimenti e come tutti i movimenti o si istituzionalizzano o svaniscono presto. In politica conta ciò che si ha da proporre, non ciò che si pensa di rincorrere. Conta la visione dell’insieme non la rivendicazione del particolare.

Nella democrazia «solida» c’erano strutture di partecipazione, radicate non solo nel territorio ma nella coscienza delle persone: i partiti, i sindacati, le organizzazioni professionali. C’erano luoghi in cui il confronto era il metodo che per passare dalla diagnosi alla terapia. Tutto questo è cambiato. Il susseguirsi di “governi tecnici” ha portato a pensare che i partiti e i sindacati siano inutili per cui non vale la pena andare a votare. Nella democrazia “liquida” non c’è più confronto. Si mira a padroneggiare e spesso manipolare i meccanismi della comunicazione. Domina il pensiero di uno solo, di chi sta al comando.

Da due partiti leaderistici, o da due movimenti narcisistici, non può nascere un nuovo soggetto politico. Bisognerebbe che almeno uno, se non entrambi, dei padre-padrone si facesse da parte. Cosa impossibile, come dimostra la vicenda del Terzo Polo tra Renzi e Calenda. 

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--