Idolatria del cibo e valori smarriti
di Francesco Mariani

25 Giugno 2022

4' di lettura

In che mondo mi tocca vivere! Specie durante l’estate. Certo, vivo meglio di quelli scampati al colera, al tifo e alla malaria, ed oggi al Covid. Non c’è paragone con i reduci delle due guerre mondiali. I sopravvissuti agli assalti all’arma bianca, al gas nervino, ai bombardamenti, alle decimazioni e agli inganni, alla fame e ad ogni tipo di intemperie hanno dato la vita a noi. Oggi, in Ucraina succede qualcosa di molto simile per loro e forse per noi. Ne avevano visto di tutto e di più ma in testa avevano un’esperienza vissuta sulla loro pelle: “Tottu, ma chi non manchet su mannicu” (bisogna accettare tutto ma non la fame, la mancanza del pane). Erano i tempi del necessario e dell’indispensabile tra i naufraghi della privazione che in ogni erba, frutto, carne, latte, sapevano riconoscere con gratitudine il loro alimento per vivere, lavorare e procreare.

Oggi, seppure in tempo di tragedie, siamo al “Cibo dio”, del ventre e della gola che ci governano. I battesimi sono diventati pranzi luculliani, le prime comunioni ricevimenti da Vip, le cresime oltre ogni immaginazione (si fanno anche dei mutui bancari pur di ostentare), i matrimoni (specie civili) cosa inenarrabile: il famoso Petronio, esperto pubblicitario ma non legionario, ci fa un baffo.

Le guerre non si fanno più al Piave o a Montecassino o in Ucraina ma in cucina, in televisione e sui giornali sedotti e supplici della culinaria. È un’altra guerra. Gli eserciti sono ben allineati e animosi, con reticolati e carri armati: onnivori, vegani, vegetariani, crudisti, gluten-free, macrobiotici, lattofobi, fruttivori, carnivori. Ognuno intento ad immolarsi dinanzi al piatto diventato idolo-dio. Sono i nuovi idolatri e come tutti i loro consimili, di ieri e di oggi, non ci portano lontano, complicano la vita invece di renderla più serena. Il cibo sta diventando una fede che produce sette, sempre più integraliste, con contorno di scomuniche, eresie, crociate. La borghesia moscia produce modelli di vita ammosciati. Stiamo vivendo una nuova guerra di religione, il conflitto inevitabile che accompagna ogni idolatria del ventre. Il cristianesimo, specie San Paolo, ci ha dato la libertà ed il gusto del mangiare (andate in giro e vedrete che solo nei paesi cristiani non ci sono tabù alimentari). Le più rinomate marche di vini e digestivi, le più amate ricette di sughi e sapori, di erbe salutari e farmaci naturali hanno dietro monaci e conventi. Gente che amava la vita e la natura ma non faceva del ventre il vitello d’oro e non imponeva a nessuno obblighi alimentari. San Paolo aveva ammonito: «Nessuno vi separi in base a quel che mangiate e a quel che bevete». Invece, nella società che ha sostituito l’etica con la dietetica, il cibo è diventato uno strumento di divisione e non più di condivisione.

Intanto ricordiamo che una volta i nostri nonni e genitori erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Papa Francesco scrive che «Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici». Altra cosa è quando si vedono cani e gatti trattati meglio delle persone, monsignori e politici di grande livello emettere scomuniche contro chi macella e mangia agnelli, cittadini che protestano contro chi cerca di difendersi da piccioni e cornacchie. Manca solo un comitato per la protezione delle cavallette. Con molta ironia, verrebbe da dire di esportarle in paesi dove attualmente vengono mangiate. Domani, a proporcele nel piatto prelibatissimo, insieme a lombrichi ed insetti, sarà il nostro turno. E magari diremo grazie. Con grandi scuse a ristoratori e cuochi ai quali non dobbiamo insegnare il loro mestiere.

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