Uno scorcio del cimitero di Nuoro (ph Franco Colomo)
I fedeli defunti e il nostro destino
di Francesco Mariani

3 Novembre 2022

3' di lettura

Dopo la festa di Ognissanti, la Chiesa, il due novembre fa la commemorazione dei fedeli defunti, dei suoi figli entrati nella vita eterna. Un ricordo che diventa preghiera e viceversa; un pensiero grato per i nostri cari ma anche una riflessione sulla nostra morte.

L’attuale società, ormai sistematicamente, bara: nasconde la morte, invita a non pensarci, la presenta come uno sceneggiato televisivo, una cosa da metaverso. In questo modo rende banale la vita stessa, la tragedia ed il dolore. Censura l’interrogativo sulla morte corporale “dalla quale nullo homo vivente po’ scappare”. Esorcizziamo in ogni modo il pensiero della nostra morte e in contemporanea banalizziamo la vita, convinti che la morte non ci riguardi.

È vero che a Nuoro e nei nostri paesi il cimitero è luogo di visite continue e molti vi si recano ogni giorno per salutare i loro cari defunti. È vero che le tombe sono generalmente curate, pulite, con fiori e lumini sempre accesi. Ma è anche vero che si è affievolita la coscienza di essere fatti per l’eternità. Ci riconosciamo genericamente in una cristianità, intesa come cultura e modo di vivere, ma non siamo cristiani ossia testimoni di Cristo risorto. La società secolarizzata mette a tacere le domande ultime di ogni uomo che riguardano il nascere, vivere e morire. Crea in noi l’illusione di poter dominare il tempo e l’esistenza, di decidere quale vita sia degna di essere vissuta e quale soppressa. Senza un rapporto con l’infinito tutto diventa banale, prima ancora che nel corpo si muore nello spirito. Totalmente assorbiti nel tempo presente si perde di vista il futuro, i cieli nuovi e terra nuova.

Non si può ignorare il numero sempre in crescita, soprattutto tra i giovani, dei suicidi, delle morti che sopravvengono come effetto collaterale di droghe, alcool, temerarietà, imprudenze. Smarriti negli incantesimi dell’egoismo tutto appare come un gioco, e a tutto si da una motivazione economica. Eppure è evidente che non ci sia un nesso tra povertà e suicidio, tra necessità economica ed irresponsabilità comportamentale.

La filosofia classica si interrogò molto sull’immortalità dell’anima. Pur non riuscendo a definirla la percepiva come vera. Ma neanche questo basta. Sant’Ambrogio, ricorda che «l’immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio se non la illumina la grazia». Come la vita terrena alla quale non basta la lunghezza per essere “beata”. Ferma restando la nostra radicale condizione di pellegrini, di precari, di provvisorietà che non si cancella con l’illusione dell’eternità. I riti e le onoranze funebri sono sempre esistite, anche in forme più eclatanti delle nostre, ma non sono esse a donare la vita eterna. Quel dono può venire solo da Dio che nella morte e resurrezione di Cristo rende positivo lo spiegare le vele per arrivare all’altra riva, alla vera patria, al compimento del desiderio.

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