Davanti alla croce i “Gosos in tempus de peste”
di Franco Colomo
5' di lettura
10 Aprile 2020

«Il capitolo dei canonici – si legge nel Codice di diritto Canonico – è il collegio di sacerdoti al quale spetta assolvere alle funzioni liturgiche più solenni nella chiesa Cattedrale o collegiale», un compito questo che non è venuto meno in questa così particolare Settimana Santa. Oltre alle celebrazioni presiedute dal Vescovo, infatti, i canonici della Cattedrale di Santa Maria hanno assicurato celebrazioni sempre degne, solenni nella loro sobrietà, intime eppure universali nel respiro. Voci (ri)divenute familiari nelle settimane di Quaresima con la recita del Rosario e la Novena alla Madonna delle Grazie – con il voto solenne voluto dallo stesso Capitolo – sono entrate sera dopo sera nelle case dei Nuoresi attraverso la radio, strumento antico eppure straordinariamente capace di oltrepassare ogni barriera. Dopo la Domenica delle Palme che si è chiusa con i secondi Vespri, la Messa mattutina sino a mercoledì, nel triduo l’Ufficio delle letture e le Lodi mattutine, venerdì Santo come da tradizione la celebrazione della Passione del Signore alle tre del pomeriggio. A presiedere la liturgia – insieme al parroco don Giovanni Maria Chessa, don Alessandro Fadda, don Antonio Sedda -l’arciprete don Giovannino Puggioni  che dopo la lettura della Passione ha voluto condividere una breve riflessione. Partendo dalla preghiera che in questo giorno assume carattere universale ma anche personale, di tutti, anche alla luce degli eventi grandi e storicamente rilevanti determinati dalla pandemia che ha sconvolto il quadro sociale del mondo e in particolare del nostro Paese. Il testo di Giovanni, «solenne, teologico, offre una chiave di lettura profonda del mistero». Anzitutto il passaggio «dalle tenebre della notte dell’arresto alla luce del mezzogiorno, quella luce che Gesù era venuto a portare». Don Puggioni ha poi posto l’accento sul clima che emerge dalla lettura: «c’è sempre intorno a Gesù grande rifiuto, terribile, da parte del male, male che assume fattezze e si identifica in personaggi che talvolta conservano una dignità esteriore di personalità come Anna, il grande faccendiere, o come la suprema autorità romana fragile di fronte alle opposte ragioni della giustizia e del consenso popolare. O come Barabba ricordato perchè criminale su cui pendeva una taglia, o ancora come il servo del sommo sacerdote che interpreta in maniera stupida l’adeguamento alla volontà del padrone che gli fa compiere quel gesto – lo schiaffo – che non era necessario e che Gesù stesso contesta. Riconosciamo il male anche però in persone che stanno nell’ombra: Gesù muore in un clima di ingiustizia e di non accoglienza della sua voce». Ma come detto è anche il Vangelo nel quale Gesù si rivela, i titoli messianici sono compiuti e realizzati nel momento della Passione: «Re, che inaugura un regno diverso da quelli del mondo, l’agnello immolato nella parasceve, il Figlio di Dio, lo sposo che chiama ogni credente ad entrare in intimità». A questo proposito – ha sottolineato l’arciprete – «la grande quantità e la qualità degli olii e profumi fa pensare piuttosto alla profumazione del talamo che al sepolcro di Gesù. Si manifesta questo profondo desiderio di intimità con gli uomini che traspare anche nelle parole “Ho sete”, per cui ognuno di noi è desiderato: Gesù si offre perchè ognuno possa stare in un rapporto non esteriore ma più forte, coinvolgente, attrattivo. È per noi un invito ad amare Gesù con passione così come lui per noi ha vissuto questa passione di sofferenza». C’è poi una immagine che diventi motivo di preghiera dati i richiami ecclesiali forti in Giovanni. Normalmente in questi identifichiamo il dono di Maria dal figlio al discepolo amato e l’acqua e il sangue che escono dal costato, ma l’immagine più forte oggi, significativa e impegnativa è quella delle vesti. «Per la cultura del tempo la veste era ritenuto fosse permeata della personalità di chi la indossava, quelle di Gesù divise in quattro parti richiamano al Vangelo destinato al mondo, ai quattro punti cardinali. La veste indivisa è immagine dell’unità della Chiesa, non è una realtà compiuta non solo per le grandi divisioni delle comunità cristiane – ha notato don Puggioni – ma anche per le divisioni delle nostre comunità, nelle chiese locali, nelle parrocchie. È per noi un incoraggiamento a ripercorrere il cammino verso l’unità». Nel canto dell’adorazione della croce, infine, l’invito a cantare un antico Gosos che i nostri padri avevano composto contro la peste. «Di fronte a questo grande mistero di dolore i nostri antenati si riferivano a Gesù crocifisso e trovavano sicurezza di esaudimento», viviamo anche noi lo stesso atto di affidamento.

Gosos in tempus de peste

Revocàde sa sentenzia Onnipotente Segnore applàcade su dolore cessàde sa pestilenzia. -Gesù Cristu Salbadore, chi pro nois sezis mortu, o Divinu Redentore dàdenos veru accunnòrtu, revocade dei su tottu custa crdele sentenzia. – Clementissimu Segnore ch’istezis piagàdu pro noi, e cun dolore de ispinas coronàdu, pro su sàmben de su costàdu pro sa ostra passienzia. – Pr cuddu dolore forte cand’inclavèsin sas manos, e pro cudda santa morte prèghen infirmos e sanos, usènde de soberànos favores e de clemenzia. © riproduzione riservata

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