Proteste in Francia (ph Ansa/ Sir)
Da Parigi segnali d’allarme per tutti i paesi europei
di Francesco Mariani

6 Luglio 2023

3' di lettura

La Francia è abituata a vedere i conflitti sociali diventare rivolte violente. Non conosce la strada delle riforme e va avanti per strappi. Il copione è sempre lo stesso: per prima cosa si fa lo sciopero, si manifesta, si spacca tutto e poi si arriva al tavolo delle trattative. È successo con i gilet gialli (per il caro gasolio), si è ripetuto con la vertenza pensionistica, ed ora con la rivolta delle banlieue (in italiano “ghetti”).

Con differenze non da poco: i rivoltosi di oggi sono dei giovanissimi, per lo più nati in Francia, seconda generazione di immigrati. Non hanno una vertenza politica da rivendicare, non perseguono un cambio di governo o precise riforme sociali. Come controparte hanno identificato lo Stato in se stesso: vengono assaltati municipi, caserme, carceri, uffici pubblici, persino gli asili nido, le scuole, gli ospedali, i servizi sociali. Tutto quello che rappresenta lo Stato. Senza dimenticare supermercati, negozi di abbigliamento, di apparecchi elettronici, computer, telefoni.

In Francia, ma non solo lì, ci si è illusi che il welfare fosse in grado di assorbire le disuguaglianze sociali, invece si è progressivamente dissolto il presupposto politico della società multietnica. Ossia l’idea che tutti, bianchi, neri, mulatti, tutti indistintamente dichiarati come francesi fossero francesi davvero. E invece il fuoco identitario è covato a lungo, nella dialettica della discriminazione, fino a tracimare. 

Non solo nella periferia parigina ma in tutta la Francia e l’Europa sta crescendo una nuova generazione che non riesce (e non vuole) integrarsi e che rifiuta l’omologazione culturale e sociale che sulla “egalité” ha scommesso il proprio futuro. Sono giovani che proprio nella loro “diversità” trovano i motivi di aggregazione rifiutando le strutture stesse di uno Stato che considerano “nemico” perché non se ne sentono parte. Oggi i “francesi francesi”, e questa è una novità, sono dichiaratamente a sostegno della polizia, decisamente contrari ad una ribellione intrisa di violenze e saccheggi intollerabili. Si sta acuendo una spaccatura strisciante da decenni e difficile da saldare.

Da non dimenticare inoltre che dietro le questioni identitarie e relative discriminazioni, nei ghetti, nei “territori perduti” come vengono chiamati, a dettare legge non è lo Stato ma bande organizzate, armate e finanziate da narcotrafficanti e mafie potenti. Sono loro, come accade ovunque ci siano ghetti, ad aver sotto controllo tutto e tutti. Insomma, la legge non scritta è “qui comando io…”. Macron ha investito molto sulle periferie, e sarebbe ingiusto negarlo, ma il malessere attuale ha radici profonde.

Stavolta, a far scattare l’incendio è stata l’uccisione a Nanterre, da parte di un poliziotto, di un 17enne, che, senza patente e alla guida di un’auto, si rifiuta di fermarsi ad un posto di blocco. L’ufficiale è in arresto per omicidio colposo. Difficile credere ad una reazione improvvisata, più probabile ci sia dietro qualcosa di organizzato. Si ha a che fare con giovani, addestrati a erigere barricate, a incendiare auto, ad attaccare stazioni di polizia e a usare armi come mortai e, secondo alcuni, persino armi da guerra. Ed in Europa si temono ondate emulative che travalichino i confini francesi.

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