Ancora sui ritardi di Poste Italiane
di Francesco Mariani

19 Gennaio 2024

3' di lettura

Di quanto siamo tornati indietro! Leggo che il servizio postale ai tempi dell’impero romano era assicurato fino in Portogallo, al Reno, al Danubio, alla Scozia, ai Carpazi, al Marocco, all’alto Nilo, al Mar Nero e alla penisola Arabica. Vari studiosi hanno riscontrato che a coprire il percorso postale tra Roma e la Britannia occorrevano solo 25 giorni. Il percorso tra Roma ed Atene era appena di 15 giorni. Non esistevano automobili e mezzi meccanici.

Oggi Poste Italiane ci mette tre/quattro mesi per distribuire la corrispondenza tra Nuoro e i paesi vicini. Da servizio pubblico, pagato con le nostre tasche, è diventata una società per azioni che continuiamo a pagare con le nostre tasche. E come tutte le società per azioni (SPA) guarda ai profitti, agli utili, non al servizio seppure pagato da noi. È la storia di tutte le privatizzazioni avvenute in Italia.

Quando i comuni della Valle del Cedrino restano quattro mesi senza consegna della corrispondenza, a Mamoiada tre mesi, a Lula o Bitti o Nuoro non si sa quanto, che dire? I pacchi di Amazon te li recapitano puntuali, anche di domenica, ma le bollette dell’Agenzia delle Entrate, ed il settimanale L’Ortobene manco per sogno. 

La giustificazione addotta dalla dirigenza di Poste Italiane è sempre la stessa, somiglia ad un disco incantato: la colpa è della toponomastica e dei numeri civici sbagliati. La realtà è che mancano i portalettere, le assunzioni vengono fatte a tempo determinato, la professionalità lascia a desiderare. Ne ha voglia il Prefetto Dionisi, cui va la nostra gratitudine, di sollecitare e convocare incontri: Poste Italiane è sorda nella sua impunità. 

«Poste Italiane è oggi la più grande realtà del comparto logistico in Italia»: così si presenta nel suo sito, dove si definisce anche «leader nei settori finanziario, assicurativo e dei servizi di pagamento». Nessun dubbio che si tratti di una banca efficiente. Ma la consegna della corrispondenza è un optional. 

Le normative prevedono che ogni 12 mesi si debba attuare un ricambio del personale a termine: ciò non giova ai lavoratori con contratto a tempo determinato che, una volta imparato il mestiere, vengono mandati a casa a discapito della qualità del servizio per i cittadini. Inoltre, per il lavoro negli uffici postali, il personale a tempo determinato non viene mai utilizzato e quindi manca qualunque meccanismo sostitutivo, se non quello di ricorrere a personale proveniente da altri Uffici Postali.

Come tutte le grandi aziende anche Poste si impegna molto nella riduzione dei costi e quindi nel taglio del personale. Usa i criteri bancari non quelli che rispondono ai legittimi diritti dei cittadini, specie dei più deboli. Certo che poi continuare a vivere in paesi dove il postino non suona due volte ma neanche una sola diventa deprimente. Né consola che nelle zone interne non ci sia nessun servizio pubblico funzionante a dovere.

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