In cammino sulla Via dei Santuari (photo by Franco Colomo)
Una Via come una tavola apparecchiata
Intervista a Paolo Loi, promotore con l'associazione Camminantes della Via dei Santuari, proposta e percorsa durante l'evento "Noi camminiamo in Sardegna"
di Franco Colomo

11 Ottobre 2023

5' di lettura

Paolo Loi, 61 anni, bancario di professione, camminante per passione. È lui il promotore della via di pellegrinaggio ribattezzata Via dei Santuari ed è il presidente dell’associazione Camminantes onlus che ha dato gambe a questo progetto inserito nella seconda edizione di “Noi camminiamo in Sardegna” tra il 4 e il 7 ottobre 2023.

Paolo, come è nato questo progetto?
«Nasce come idea dopo aver percorso il Cammino di Santiago nell’agosto del 1996, quando nessuno avrebbe potuto nemmeno capire cosa significava una via di pellegrinaggio. Noi non possiamo dire di avere una Santiago in Sardegna, chi lo dice sta forzando, ma abbiamo tanti centri spirituali importanti dove converge la devozione di vaste aree di popolazione. Abbiamo capito che avevamo a che fare con una realtà policentrica però questo policentrismo è diventato per noi invece che un punto di debolezza, un punto di forza, perché racconta la diversità della nostra isola, la ricchezza della nostra isola. Un po’, se vogliamo usare uno slogan, è unità nella diversità. Insomma, la soluzione l’avevamo sotto il naso: così nel 2012 abbiamo capito che i tempi erano maturi e l’idea che era venuta emergendo era quella di mettere in rete i Novenari».

Perché i Novenari?
«Semplicemente perché i Novenari da sempre sono meta di pellegrinaggio e luogo di accoglienza dei novenanti e dei pellegrini. Noi associamo i Novenari alla festa, perché sono villaggi temporanei, però trascuriamo un aspetto importante e cioè che spesso sono luoghi dove la gente trova ristoro dove si ogni tanto trova l’occasione per respirare, per meditare, sono luoghi di pace e meta di pellegrinaggi silenziosi. Questi luoghi hanno una vocazione ad accogliere le persone tutto l’anno».

In questo senso la Via dei Santuari rappresenta una scommessa.
«Questo è un cammino che attraversa culture e soprattutto attraversa ricordi sacri, perché i Novenari sono sede dei ricordi sacri di un popolo. È un’esperienza originale, non so in che modo potrà essere recepita da chi non è sardo, però qui è la scommessa come quella di far vivere questi luoghi 365 giorni all’anno. Abbiamo creato un prototipo e lo abbiamo fatto con le nostre forze, senza chiedere soldi a nessuno. Dico prototipo per dimostrare che si può fare si può fare, abbiamo realizzato anche un docufilm per ribadire che si può fare si può raccontare e che lo raccontiamo noi sardi senza aver bisogno “di troppi aiuti”. Questo è per me un punto d’orgoglio perché è tempo che noi iniziamo a raccontare le nostre cose senza fare un copia e incolla un poco stupido, con poco significato e poca profondità. Abbiamo molto da raccontare, iniziamo a raccontare. Poi non so quali sviluppi possano esserci in futuro perché la via rivela la sua natura camminando. Ogni pellegrino in qualche maniera lascia un deposito e prende un deposito. La Via cresce attraverso le esperienze dei pellegrini che in qualche maniera si tramandano. Poi sta anche alle comunità locali e anche alla Chiesa locale, far sì che questa realtà possa crescere».

Anche i sindaci con la loro presenza attiva hanno dato una bella spinta.
«Sono straordinari, è stata una presenza significativa perché sono stati veramente proattivi, quindi hanno dato un contributo obiettivo. Abbiamo sfruttato l’occasione di “Noi camminiamo in Sardegna” per migliorare ancora più il percorso e abbiamo chiesto aiuto a loro. E devo dire che gli aiuti sono arrivati. Quindi adesso, ad esempio, abbiamo un tratto di percorso che è vicino ai cento chilometri, che è decisamente meglio di quello che avevamo pensato all’inizio. Con lo sforzo di tutti abbiamo capito dove dobbiamo lavorare per migliorare questi 100 km che ancora hanno un potenziale di crescita importante.
Gli ingredienti ci sono: il primo sono i luoghi, bellissimi, in mezzo alla natura. Poi c’è la devozione che caratterizza in maniera forte questi luoghi. Non stiamo parlando di archeologia, stiamo parlando di luoghi vivi. Infine la vera chiave è l’accoglienza. Perché un pellegrinaggio senza un’accoglienza adeguata, senza un’accoglienza vera e autentica, non può decollare. Su questo, davvero, non ci sono problemi perché ce l’abbiamo nel Dna. In Sardegna abbiamo a che fare con uomini veri, radicati nella loro tradizione, nella loro storia, che guardano in faccia senza problemi e parlano in maniera diretta. Questa è una cosa che sciocca le persone che vengono da fuori non più abituate a un linguaggio diretto e senza veli.
In definitiva, abbiamo paesaggi naturali, paesaggi architettonici, paesaggi umani potentissimi. Questa proposta valorizza luoghi e cammini, noi abbiamo cercato di intercettare anche le vie di pellegrinaggio che portavano ai Santuari. In altre parole, non abbiamo inventato nulla. Questo è il punto di forza vero, semplicemente abbiamo collegato, connesso in un percorso orientato quello che già c’era. Quindi il nostro punto di forza, e questo mi lascia molto sereno, è che non abbiamo inventato nulla, grazie a Dio».

Cosa ti hanno lasciato questi tre giorni?
«Mi hanno lasciato l’impressione che il territorio stia iniziando a crederci e può esserci qualcosa. Poi, intendiamoci, noi stiamo apparecchiando una tavola, poi chi serve a tavola è un Altro. Noi stiamo lavorando su questo percorso da dieci anni, il lavoro lo fanno dall’alto lo fanno. Noi dobbiamo apparecchiare la tavola con molta semplicità, senza troppe complicazioni, senza sovrastrutture, chi deve lavorare lavora».

E allora non resta che attendere e accogliere i commensali. 

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