Una società che non insegna vuol dire che non si ama
di Francesco Mariani

26 Maggio 2024

4' di lettura

C’è una lettura che mi ha sempre colpito sia nel contenuto che nell’argomentazione. Mi riferisco ad un articolo scritto da Charles Péguy in occasione della riapertura delle scuole francesi, l’11 ottobre 1904. Sono passati tantissimi anni ma quelle riflessioni sono, per me e spero per voi, di una attualità incredibile. Alla conclusione dell’anno scolastico nostrano, le riassumo tagliando molte sue righe. 

«La crisi dell’insegnamento non è una crisi dell’insegnamento; sono crisi di vita; denunciano, rappresentano crisi di vita parziali, eminenti, che annunciano e accusano crisi della vita generale; o, se si vuole, le crisi di vita generali, le crisi di vita sociali si aggravano, si radunano, culminano in crisi dell’insegnamento, che sembrano particolari o parziali, ma che in realtà sono totali. Rappresentano il tutto della vita sociale; è infatti all’insegnamento che le prove eterne attendono, per così dire, la cambievole umanità; il resto di una società può passare, truccato, mascherato; l’insegnamento non passa; quando una società non può insegnare, non è che manca accidentalmente di un apparato o d’una industria; quando una società non può insegnare, è che questa società non può insegnarsi; è che ha vergogna, è che ha paura lei stessa d’insegnarsi; per ogni umanità, insegnare, in fondo, è insegnarsi; una società che non insegna è una società che non si ama; che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna.

I parassiti politici parlamentari di ogni lavoro umano, i politici della politica e dell’insegnamento hanno un bel celebrare la scienza e il mondo moderno e la società contemporanea in gozzoviglie cerimoniali; né il calore comunicativo dei banchetti, né le manifestazioni e i discorsi programmatici e i toasts e le manifestazioni e le distribuzioni di acqua benedetta laica fanno un’umanità, un insegnamento, una cultura; come insegnare quando tutto il mondo mente; io so che si mente molto nell’insegnamento; ma ugualmente l’insegnamento ripugna più alla menzogna che le altre operazioni sociali; l’infanzia e la giovinezza hanno, nelle società più danneggiate, una certa forza di innocenza propria che resiste alle invasioni della frode; è per questo che la pedagogia ha meno successo delle altre forme di demagogia; ed è per questo che le malattie sociali venute dalla menzogna appaiono anzitutto sotto forma di sintomi pedagogici.

Le stesse esagerazioni dei nuovi predicatori malcelano una sorda inquietudine; un autentico sapiente che lavora nel suo laboratorio, non scrive Scienza con la S maiuscola; un autentico artista, che lavora nel suo atélier, non scrive Arte con l’A maiuscola; e un vero filosofo, che lavora nella sua testa, non scrive Filosofia; il più delle volte non pronunciano e non scrivono queste parole: scienza, arte, filosofia; si può affermare che usano queste parole il meno possibile e per così dire a difesa del loro corpo; colui che dice Scienza, Arte, Filosofia e Società moderna ai barlumi di illuminazioni civiche è uno che non sa quel che è un laboratorio, un atélier, un pensiero personale, un’umanità; e quando un demagogo scientista pone una S maiuscola a Scienza, non lasciamoci ingannare; è che questa S maiuscola, nei rimorsi della sua tardiva coscienza, fa una sostituzione; sostituisce tutto quello che nello spirito del demagogo, o del pedagogo, è tutt’uno, viene meno alla scienza per esercitare la funzione sociale di mistica laica a essa attribuita dai politici».

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