Sebastiana Corda, una vita con i bambini
di Redazione

27 Ottobre 2023

5' di lettura

Si terranno questa sera nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora del Rosario a Nuoro i funerali di Sebastiana Corda, storica assistente dell’asilo di via Trieste a Nuoro. Nell’occasione riproponiamo l’intervista concessa al settimanale nel 2018 e firmata da Lucia Becchere.

Ente parastatale assistenziale finalizzato alla tutela delle mamme e dei bambini l’ONMI – Opera nazionale maternità infanzia – presente in Europa fin dal 1915, è stata fondata in Italia nel 1925. La struttura di Nuoro iniziata nel 1935 e operativa nel 1938, dopo la caduta del fascismo “La casa della madre e del bambino” verrà intitolata al medico Flavio Busonera (1894/1944) eroe della Resistenza e sarà gestita dal Comune a partire dal 1975. Il progetto realizzato all’interno della cosiddetta battaglia demografica del regime fascista, era finalizzato a contrastare la mortalità infantile ormai a livelli molto alti e a sostituire la beneficenza privata con una formula di assistenza statale.
Le strutture presenti su tutto il territorio nazionale venivano amministrate da un consiglio centrale con sede a Roma, da federazioni provinciali e dai patronati comunali gestiti da un ufficiale sanitario, un direttore didattico, un maestro e un sacerdote. Gli obiettivi principali erano la prevenzione, la protezione della maternità e dell’infanzia, l’educazione del fanciullo, l’igiene e profilassi. Tutto il personale medico e paramedico veniva sottoposto a corsi di formazione e a note di qualifica.
Il vitto e l’alloggio erano gratuiti ai bambini poveri, illegittimi e a rischio di abbandono di età compresa fra uno e tre anni, alle gestanti e alle puerpere nubili, sposate o vedove di condizione economica disagiata e così pure a tutto il personale in servizio.

Sebastiana Corda, per tutti zia Tatana, nata a Nuoro nel 1927 ha prestato servizio per 40 anni come assistente nell’asilo di via Trieste con una parentesi di sei anni nella sede periferica di Siniscola da dove rientrava il fine settimana affrontando grossi sacrifici.
La sua famiglia era povera, la madre cuoceva pane carasau nelle case dei ricchi e anche la piccola Tatana a soli 13 anni faceva sa teracca. La sua voce flebile tradisce l’amarezza del ricordo di antichi padroni che le facevano consumare gli avanzi in un sottoscala.

In che modo siete arrivata a lavorare nell’asilo di via Trieste?
«Nel 1945 previa domanda fui assunta come operaia in lavanderia con il compito di assistere i bambini durante il pranzo.  Nel 1954 fu bandito il concorso nazionale di governante e il direttore sanitario dott. Gabbas m’inviò a Roma per sostenere l’esame. Fra 222 vincitori mi classificai 28esima e nel 1956 fui immessa in ruolo».

Come ricordate gli anni trascorsi con i bambini?
«Erano la mia vita, li amavo tanto da non potermene separare. Dopo il matrimonio tutte lasciavano il lavoro, io non potevo proprio perché avevo estremo bisogno di lavorare».

Com’era la giornata tipo?
«La mattina facevo accoglienza, il bagnetto ai bambini e sostituivo i loro indumenti con quelli in dotazione dell’ente fino al momento di andare via e cioè fino ad un quarto alle cinque. Durante la mattinata e nel pomeriggio li impegnavo in attività ludiche. Dopo pranzo i piccoli riposavano per un paio d’ore e al risveglio facevano merenda. Il cibo era abbondante e di ottima qualità».

Quanti bambini ricevevano assistenza?
«Tanti, proprio tanti, talvolta accudivo anche quaranta bambini in una sola volta fra lattanti, semidivezzi e divezzi. Il personale faceva i turni per garantire l’assistenza anche d’estate. Quando nel 1775 l’ente passò al Comune cessò l’assistenza gratuita e la retta da pagare era proporzionata al reddito».

In che anno siete andata in pensione e cosa avete provato?
«Sono andata in pensione nel 1985 e poiché quel lavoro era la mia vita in seguito ho sofferto di ulcera gastrica. Con questo ho detto tutto».

Che ricordo avete dei bambini?
«Erano poveri e bisognosi d’affetto. Belli e bravi. A quei tempi imperversano i pidocchi che io schiacciavo con un martellino dopo averli tolti con le mani».

In seguito avete avuto modo d’incontrarli?
«Si e mi rende felice il ricordo. Sono soprattutto le mamme che ancora oggi mi ringraziano e mi dimostrano affetto».

Cosa direste ai bambini di allora?
«Che li ho voluti bene a che ancora oggi mi mancano».

E alle persone che oggi lavorano con i bambini?
«Che non servono lauree se non si ha un cuore per amare i bambini. Non sono mai rientrata stanca dal lavoro e se i genitori erano impegnati spesso me li portavo a casa. Non mi assentavo dal lavoro per nessun motivo “sa domo mea fiti sa maternidade!».

Rifareste lo stesso lavoro?
«Assolutamente si. Ringrazio l’ONMI perché senza lo stipendio di allora e la pensione di oggi sarei andata incontro a mille difficoltà. Se sono così è perché c’è qualcuno sopra di noi!».

Lucia Becchere

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