Principio di insularità, siamo isolati o isolani?
di Giuseppe Pinna

25 Giugno 2022

5' di lettura

Quello dell’insularità è un tema, per noi “isolani”, particolarmente sentito poiché impatta sulla nostra quotidianità e, ogni tanto, fa capolino nel dibattito politico. È un argomento talmente delicato che già nella Costituzione si era deciso di tutelare questa tipicità: infatti, nell’articolo 119, si leggeva che «per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali». Già da allora l’insularità, veniva percepita come svantaggio; necessitava, quindi, di appositi contributi da parte dello Stato. Nel 2001, invece, con la riforma del titolo V della Costituzione (principio federalistico) scompare il principio. Torna nel 2018, con un disegno di legge costituzionale, di iniziativa popolare, avviando un processo di riforma dell’articolo 119, integrandolo e introducendo il cosiddetto principio d’insularità.
Tale percorso, nei mesi a cavallo tra il 2021 e 2022, è stato discusso in parlamento ed infatti Il 27 aprile 2022 il Senato ha approvato la proposta di legge, recante la modifica all’articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento dei loro svantaggi. La proposta di legge costituzionale è diretta ad introdurre un comma aggiuntivo ai sensi del quale la Repubblica: “riconosce le peculiarità delle Isole”; “promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”.
I principali elementi di novità, rispetto al testo iniziale della proposta di legge, possono essere così riassunti: è la Repubblica, e non soltanto lo Stato, a farsi carico dell’intervento pubblico in favore delle Isole; il riconoscimento riguarda le «peculiarità delle Isole» (e non più il “grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità”); la Repubblica «promuove» (nel precedente testo lo Stato disponeva) misure per rimuovere tali svantaggi.

Anche il Parlamento Europeo, il 7 giugno, ha dato il via libera alla risoluzione Omarjee la quale accentua una nuova sensibilità delle politiche europee verso quei territori insulari che in Europa coinvolgono un bacino di circa 17 milioni di persone e circa 2400 isole appartenenti a 13 Stati membri. A tutto ciò si aggiunga che l’Italia, dopo la Brexit, è diventata il primo paese europeo per numero di cittadini insulari, pari a quasi 7 milioni. Nella nuova visione questi territori diventano, alla pari di quelli continentali, meritevoli di tutti gli aiuti necessari al superamento dei divari ma anche per accentuarne le peculiarità. Se l’Europa assolve al suo compito dando degli input ed orientando i suoi fondi strutturali, lo fa guardando a tutti i cittadini insulari europei. Noi siamo cittadini europei ma siamo anche la parte meridionale dell’Europa con tutte le conseguenze che ne derivano.

Noi sardi (vale anche per i siciliani) scontiamo un grave divario socio economico rispetto all’Italia continentale in tema di lavoro, di trasporti, di infrastrutture ed una situazione delle attività produttive nettamente inferiore rispetto al resto del Paese. Gli obiettivi della modifica legislativa non devono essere una semplice rivendicazione economica ma la base di partenza per la rimozione delle cause che costituiscono lo svantaggio. Non abbiamo solo il problema degli scarsi servizi ma anche dei costi nettamente maggiori rispetto al continente: energia, trasporti, servizi essenziali.
Costi che si ribaltano su imprese e famiglie; si pensi che in una ricerca di qualche settimana fa la Sardegna è risultata la terza regione più cara in Italia. L’insularità oggi toglie miliardi di euro alle famiglie e alle imprese; è come se per noi esistesse una tassa occulta (quantificata per le due isole maggiori in quasi 10 miliardi di euro) che limita il nostro sviluppo. Ci sono settori produttivi particolarmente colpiti: le merci scontano spese di trasporto nettamente più alte rispetto alle altre zone dell’Italia; i nostri produttori sono sempre meno competitivi; paghiamo l’energia (benché prodotta anche da noi) più cara rispetto ad altre zone; il settore del turismo soffre da anni la competitività di regioni dove si arriva a costi molto più bassi.

Ma sarà sufficiente inserire il principio in Costituzione? Oppure è necessario anche un forte senso di responsabilità e maturità? Se guardiamo oggi il risultato delle scelte politiche del passato e di come sono stati impiegati gli innumerevoli miliardi spesi dobbiamo dire che è necessario un cambio di rotta. Da una parte lo Stato deve colmare il divario creato dall’essere isolani ma dall’altra parte, noi, per non essere isolati dobbiamo essere in grado di proiettarci verso il futuro.
Essere isolani è bello; isolati no!

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