Palestre chiuse, quello sport senza ristoro
di Franco Colomo

19 Marzo 2021

4' di lettura

L’ultimo giorno di lavoro lo ricordano bene, è stato sabato 23 ottobre del 2020, dal lunedì successivo hanno dovuto abbassare lesaracinesche senza poter più rialzarle. È la triste realtà dei gestori delle palestre, un settore, il loro, tra i più duramente colpiti dalla pandemia anche perché dopo i “ristori” per i primi due mesi di chiusura, non hanno ricevuto più nulla. Due casi esemplari, ma se ne potrebbero raccontare tanti, sia in città che nei paesi. Marco Tagliazucchi è il proprietario della Asd Olimpia Fitness, ha acquistato l’attività nel settembre del 2019, «in un anno e mezzo di apertura i mesi di lavoro effettivi sono stati appena sette, poi buio totale. Nel primo periodo dopo il lockdown – racconta – ho lavorato essenzialmente per coprire le spese e poter chiudere in pari, abbiamo avuto nuove iscrizioni a settembre – i clienti sono tra i duecento e i duecentocinquanta –, poi la mazzata. Non ci sono entrate ma le uscite non si fermano, tra affitto, utenze e le rate dei macchinari si aggirano sui 1600/1800 euro al mese, senza considerare quelle sostenute per l’adeguamento degli spazi ai decreti ministeriali, l’acquisto di dispositivi di sicurezza, le macchine per l’igienizzazione. «I clienti ci chiedono quando riapriremo, non sappiamo cosa rispondere. Con le attuali norme, che si badi bene non sono cambiate – sottolinea Tagliazucchi –, possiamo ricevere massimo venti clienti per volta, ci sono postazioni fisse con uno spazio di dieci metri quadri per ogni macchinario, gli spogliatoi chiusi per ridurre al minimo i rischi. Sono regole a cui ci siamo attenuti scrupolosamente, ora ci sentiamo dimenticati e sacrificati dallo Stato, non c’è neppure un ministro dello Sport». Tagliazucchi ha tre collaboratori, oltre la sala pesi la Olimpia fitness propone ai suoi clienti diverse discipline da combattimento, dalla boxe al Muay Thai al Kickboxing in uno spazio dedicato. «Il tempo della pandemia – conclude Tagliazucchi – ha fatto emergere anche un altro problema, quello dell’inquadramento della nostra figura professionale, quella del chinesiologo (professionista laureato in scienze motorie, esperto del movimento e della biomeccanica e della fisiologia muscolo-scheletrica ndr) che non è ancora riconosciuta al pari di altre». Antonio Cucca è il proprietario della Gymnica di Nuoro, «da 23 anni frequento le palestre – racconta – vivo per lo sport e ho investito tanto, ho una bella attività e voglio soltanto lavorare. Dopo questa chiusura mi chiedo dov’è lo Stato, i ristori servono subito, non dopo mesi. Ora – confessa – non sarebbe possibile andare avanti senza il sostegno della famiglia, l’affitto e le bollette continuano ad arrivare, cerco di compensare con dei lavoretti ma non basta. Pochi giorni fa ho dovuto buttare delle bibite invendute, avevano un valore di 400 euro, aggiungiamo perdite a perdite». Anche la sua è una attività avviata, in un anno riesce a coinvolgere circa trecento clienti grazie all’ampio ventaglio di proposte per ogni età, da quelle per i bambini a quelle per le signore più grandi, dal body building ai balli. «Ci hanno fatto adempiere a tanti passaggi, siamo stati i primi ad essere chiusi senza neppure la casistica dei contagi da Covid nelle palestre, c’è qualcosa che non torna». C’è poi un altro aspetto da considerare e non è secondario: «Altre sei persone lavorano con me, il nostro è un luogo di lavoro e formazione, non di gioco – sottolinea Cucca –: ci relazioniamo con medici, nutrizionisti, diverse figure professionali, facciamo del bene alle persone non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico e pensiamo a quanto è importante in un momento di stress come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia». Un momento che sembra non passare mai. © riproduzione riservata

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