7 Maggio 2024
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Nuoro - Appare dietro la grata una figura di giovane ragazza, gli occhi grandi e lo sguardo sereno dietro gli occhiali, lunghi capelli raccolti, il viso illuminato dal sorriso. È una persona felice Maria Pina, nuova arrivata nel Monastero delle Carmelitane Scalze a Nuoro: 29 anni, originaria di Ozieri, prima di cinque figli. Una famiglia normale la sua, genitori giovani, credenti come è stata lei. «Sono sempre stata una ragazza credente, inserita nella Chiesa, facevo parte del Cammino Neocatecumenale. Ho avuto sempre un rapporto molto bello e direi gioioso con Dio». Per il resto la cifra è quella della normalità: «Ho fatto le cose che un giovane della nostra generazione fa, e sono molto contenta di questo – racconta -. Ho vissuto l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta facendo da persona comune, amicizie, feste, ho avuto anche delle relazioni e poi un percorso di studi fantastico. Ho frequentato il Liceo classico quindi ho deciso di iscrivermi a Sassari all’Accademia, pensando che la mia vocazione fosse l’arte. Nel momento di fare la scelta della specialistica ho scelto di andare a Milano a Brera, e son riuscita a farlo mettendo da parte delle borse di studio. Il mio sogno era quello. Poi è arrivato il Covid, sono ritornata in Sardegna e non sono più risalita a Milano. Proprio nel momento in cui ci si poteva di nuovo muovere liberamente io ho sentito una chiamata forte da parte di Dio».
Cosa puoi dirci di quel momento?
«Mi sono sempre sentita guardata in maniera molto intensa da Dio. Però non riuscivo, sino a a quell’anno, a capire bene che tipo di sguardo fosse. Mi ha aiutato un sacerdote, sono andata a parlare con lui in un momento in cui avevo necessità di un dialogo serio, spirituale, gli ho spiegato che cosa sentivo. Quel dialogo ha come messo in discussione la mia vita e anche il mio rapporto con Dio. In precedenza avevo conosciuto le monache di Nuoro e mi sono sempre rimaste nel cuore per la gioia che trasmettono, questa gioia mi è sempre rimasta e ci ho pensato anche quando stavo a Milano, così ho deciso di riavvicinarmi a loro. Da lì in poi ho avuto due anni di discernimento, venivo ogni mese e sempre più nel confronto con loro, con la Parola e anche continuando un dialogo serio col mio sacerdote ho capito che il Signore mi stava chiamando a questa vita».
I tuoi genitori, e gli amici, come hanno vissuto questa tua decisione?
«Sono molto fortunata perché l’hanno vissuta bene. I miei genitori sono delle persone di mentalità molto aperta, mi hanno sempre appoggiato e sempre lasciata libera. Pur sentendo la ferita del distacco, che sento anch’io, approvano, capiscono benissimo, anzi penso che siano anche onorati, in un certo senso, di avere una figlia in monastero. Mi dicono sempre che io sono stata data loro da Dio e loro adesso mi hanno “restituito” come dono, come regalo di gioia, non come offerta di sacrificio. Con gli amici è un po’ più complicato ma hanno capito, sono onorata di avere persone così».
Hai usato due volte una parola che forse è un po’ fuori moda, hai parlato prima di vocazione artistica e poi di questa chiamata. Come possiamo raccontare questa parola a quei giovani (e non solo) che magari hanno vissuto momenti come quelli che tu hai vissuto ma non sanno dargli un nome?
«Guarda era un po’ il problema anche mio. Io penso che tutti sentiamo dentro un fuoco che non è per forza la vocazione ad essere sacerdote o suora e neppure al matrimonio. Per capire e per alimentare questo fuoco c’è bisogno di un dialogo, a me ha aiutato e parlare con un sacerdote, fidarmi, essere sincera con lui e raccontare cosa sentivo. Ma anche prima, per entrare in Accademia, ho messo a fuoco questo mio desiderio quando ho avuto un dialogo serio con mia mamma su cosa volevo fare da grande. Per discernere la propria vocazione, la propria chiamata, per capire che cosa si ha dentro, bisogna fare in modo di parlare con persone che ci possono aiutare. Serve sempre un confronto con gli altri, non ci si salva da soli».
Questa tua scelta mi fa pensare anche a un altro aspetto: la gente da fuori vede le molte privazioni, soprattutto in un contesto in cui abbiamo di tutto, forse anche troppo.
«Ogni scelta implica delle rinunce. Però, in realtà, non sento di dover rinunciare a granché. Io sto guadagnando qui dentro. Perché il tipo di lavoro che si fa in Monastero, cioè la preghiera, se uno ci crede davvero e capisce che cos’è, permette che si guadagnino anime. Questo mi basta: se penso che ho lasciato il cellulare per guadagnare l’anima di qualcuno, dico, lo faccio altre mille volte. È anche una questione di fede».
La fede. Viviamo un tempo di grande crisi. Eppure quello che ti succede ci fa vedere che Dio continua ad agire.
«La crisi di fede è un problema che riguarda tutti. La soluzione, secondo me, è che ciascun cristiano viva bene se stesso. La differenza la fai se tu cristiano vivi veramente un rapporto d’amore con Dio. Se poggi tutta la tua vita su Dio, gli altri se ne accorgono. Quando vivi con sincerità un rapporto d’amore, gli altri lo vedono che sei innamorata, profumi di Cristo. E questo si sente, più delle parole. Siamo pieni di parole, ci hanno sempre, anche da un punto di vista cristiano, bombardato di parole. Cristo si sente a livello proprio di profumo».
È strano però che poi questo si concretizzi nel tuo caso con la clausura. Come si concilia? Nel senso che tu ti farai presente in un modo diverso, in un modo particolare.
«Questo è un grande mistero ancora, anche un po’ per me, però lo possiamo leggere solo pensando a che cos’è la preghiera. Le persone che pregano sono come il cuore della Chiesa, danno respiro a tutti e su questo dobbiamo credere, in questo è l’aiuto nei confronti degli altri».
E in questo tempo che cosa hai trovato qui?
«Sono appena arrivata, quindi mi devo assestare, è tutto molto diverso, ma molto ordinato. Ogni cosa che si fa porta a un continuo dialogo con Dio intimo e molto profondo, il fatto che la vita sia scandita da orari precisi lo incentiva. Ho trovato tanta gioia. Mi viene sempre da pensare che questa vita è come se fosse stata fatta per me e io per questa vita. Poi la comunità è fantastica, la sento già come famiglia. Ogni sorella è una risorsa, un dono prezioso».
In più qui potrai mettere a frutto anche la tua arte. Già il luogo è un’opera d’arte in sé.
«È pazzesco, è bellissimo. Il monastero è fantastico. È tutto un sali e scendi, come la vita. Penso che l’architetto per realizzarlo, oltre a visitare i luoghi della Santa Madre Teresa d’Avila, abbia letto Il Castello interiore. Teresa dice che l’anima è come un castello e c’è un diamante che è Dio, che è Gesù, che sta nella stanza centrale, per raggiungerlo la persona deve entrare nelle stanze che non sono tutte nello stesso piano ma su piani diversi. Il monastero è esattamente così».