Mamoiada. Parla il sindaco: «Agito secondo le norme»
di Franco Colomo

17 Gennaio 2022

7' di lettura

Nello scorso mese di dicembre il comune di Mamoiada ha bandito una gara per l’affidamento in concessione dei servizi museali del paese, il Museo delle Maschere Mediterranee, il Museo della Cultura e del Lavoro e il Museo Mater. Nell’ultimo numero del settimanale abbiamo dato conto della nota con la quale la cooperativa Viseras, che ha gestito i Musei per 20 anni, annunciava la decisione di non partecipare alla gara ritenendo i termini della concessione “insostenibili e irrealizzabili”. Il 31 dicembre il Comune ha comunicato con la determina 373 l’aggiudicazione al gruppo di offerta “D’Uva” caricato sul Portale Sardegna Cat e costituito dal Consorzio Stabile Promakos con sede legale a Rende (Cosenza). Tale consorzio è composto da tre operatori economici: la società D’Uva srl di Firenze (nata nel 1959 e prima a fornire audioguide per chiese e musei), la Syremont Monument Management (con sede legale a Cosenza, società nata nel 1987 dal gruppo Montedison) e la Sama Scavi archeologici (nata nel 2011 con sedi a Roma e Modena). Sabato 8 gennaio, a procedura formalmente ancora in corso, abbiamo raggiunto telefonicamente il sindaco di Mamoiada Luciano Barone (nella foto in alto) che ha voluto offrire il punto di vista dell’amministrazione comunale a partire proprio dagli aspetti procedurali. «Il comparto della gestione dei beni culturali nell’erogazione dei servizi – afferma il primo cittadino – non esula dall’applicazione della Legge 50 del 2016. Questo significa che quanto gli uffici fanno è predeterminato da una normativa nazionale. Questa non prevede per nessuno che “dal momento che hai gestito sempre, sempre continuerai a farlo”, anzi prevede il principio di rotazione. Si è partiti con una procedura negoziata che ha previsto a livello propedeutico una manifestazione di interesse. Questa era vincolante all’adesione stessa del bando affinché si potesse scardinare quel principio di rotazione obbligatorio. Senza questa apertura alla manifestazione di interesse alla quale hanno aderito una quindicina di soggetti anche chi stava già gestendo non avrebbe potuto partecipare al bando. Questo è un primo punto importante che ci permette di dimostrare che non c’è nessuna azione mirata a voler danneggiare o escludere chi già operava nel settore museale di Mamoiada, anzi è esattamente il contrario». La stessa Viseras risulta tra i 15. «Nella fase successiva, di 15 ne rimangono 4 – tra questi anche Viseras – compreso chi poi viene selezionato come unico che ha presentato offerta tecnica: il gruppo D’Uva. La Gara è enormemente sbilanciata sull’offerta tecnica sempre a voler premiare chi ha maggiore qualità, esperienza e capacità progettuale. Conoscete voi un soggetto più qualificato di chi ha gestito lo stesso bene pubblico per 20 anni? Io sinceramente no. Quindi al passaggio successivo, quello dell’offerta tecnica, si evince che se Viseras avesse partecipato molto probabilmente avrebbe vinto a mani basse. Poi la posizione assunta da Viseras nel sostenere che non fosse vantaggioso, che non garantisse autonomia gestionale, che non fosse pertinente in funzione delle loro esigenze mi lascia perplesso». Non sono stati gli unici a criticare il bando. «C’è da dire che questo bando equilibra tre soggetti che sono tirati in causa. Il primo è il concessionario i cui diritti sono sacrosanti, e che devo garantire con tutti i mezzi a disposizione. Il secondo soggetto è chi detiene la titolarità del bene e fa da garante nei confronti della comunità: l’amministrazione comunale (se non articolo un capitolato di gara che mi da degli strumenti per poter fare la verifica e il controllo e garantire la tutela e la salvaguardia del bene stesso viene meno il mio ruolo, non è un diritto ma un dovere normato e disciplinato). Il terzo che viene preso in considerazione per la prima volta è rappresentato da tutti quei soggetti che costituiti in Partita Iva creano quell’indotto che lo stesso museo avrebbe dovuto creare. In sostanza si inizia a mettere in evidenza che mentre 20 anni fa si era in fase di start up ed era normale che ci fosse un accentramento sul soggetto gestore dei servizi museali affinché potesse avere maggiori margini operativi per fare tutto quello che è stato creato, oggi si deve tutelare chi è arrivato nel frattempo: artigiani, produttori dell’agroalimentare, produttori di servizi. Senza un sistema in cui tutto si amalgama e in cui nessun organo che abbia una posizione dominante si rischiano cortocircuiti che non vanno bene. Se non si tiene conto di questa cornice qualsiasi altra chiacchiera è vana». C’è stato chi ha criticato anche la decisione di riservare la quota di incasso dei biglietti per la maggior parte al Comune. «C’è una legge che specifica che l’aggio a vantaggio dei concessionari non deve essere superiore al 30%. Quel 70% che incasserò per che cosa lo uso? Per pagare il totale costo funzionale della gestione museale, energia elettrica, riscaldamento, manutenzioni ascensore e accesso, sicurezza, canoni per cartellonistica stradale, Tari e Imu, canone di locazione, manutenzioni ordinarie e straordinarie. Ma attenzione, nell’approvazione del bilancio di previsione del 29 dicembre il Comune non ha messo a regime una proiezione del 70% di incasso ma ha creato la copertura necessaria perché non è detto che la somma ricavate dai biglietti sia sufficiente a coprire quelle spese. Lo sbilanciamento delle risorse pubbliche a vantaggio del gestore è enorme. La riprova qual è? Mi è sempre stato detto che abbiamo un sistema di eccellenza, dove è stato mai replicato? Non l’ho capito. Il vecchio capitolato andava superato, non era più sostenibile, non ha presupposto normativo perché venisse replicato come molti chiedevano anche in maniera scomposta. Come mai il settore della cultura pensa di dover andare in deroga al Codice unico degli appalti? Chi si assume la responsabilità di fare una cosa del genere?». In fase di inventario c’è stata qualcosa che non è andata per il verso giusto? «Ci sono delle anomalie. Era stato chiesto il contraddittorio, giocare d’anticipo delocalizzando dei beni che si sostiene siano stati ricevuti a uso esclusivo, a vantaggio del gestore che si sente legittimato a renderli a chi ne ha fatto dono, non mi torna. La contraddizione sta nel fatto che molti di quei beni restituiti stanno ritornando in capo al museo sconfessando la linea del vecchio gestore, in gran parte anche materiale finito all’estero». L’esito del bando e le polemiche che ne sono seguite hanno creato fratture e malumori nella comunità di Mamoiada. «La grande forza di questa ricostruzione del nostro sistema museale sta nella compattezza della mia comunità. Per la prima volta le minoranze – che sono contrapposte legittimamente al mio gruppo e non mi hanno mai fatto sconti – sono totalmente dalla parte della maggioranza perché condividono i presupposti ribaditi nel capitolato di gara e nel disciplinare. Non si poteva fare diversamente. È migliorabile? Lo capiremo con l’esperienza». Il fatto che arrivino “da fuori” a gestire i nostri beni è un limite? «Posto che sono state date tutte le possibilità affinché i locali avessero la possibilità di giocarsela alla pari con chiunque, se il nuovo soggetto ha presentato un progetto e verrà conclamato come gestore avremo le condizioni per instaurare un dialogo che permetta di creare una progettualità che risponda ai nostri bisogni. Stiamo parlando di un soggetto qualificato, non improvvisato. Noi sardi non abbiamo che da imparare. Il diritto di nascita nella Legge 50 del 2016 non viene rivendicato. In realtà nel settore della promozione del patrimonio culturale siamo anni luce indietro rispetto ad altre regioni». © riproduzione riservata

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