La storia del beato Pietro di Ottana
di Luca Mele

14 Novembre 2023

5' di lettura

La diocesi di Nuoro ha un quarto beato? Ci si riferisce al monaco camaldolese Pietro Messaleno, nato a Ottana verso il 1375, data che si desume dall’anno dell’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1400 e che al tempo, secondo i canoni del Concilio ecumenico di Vienne del 1311-1312, era prevista al compimento del 25° anno di età.

Non c’è alcun riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa la quale, aprendo una causa, ripropone speciali virtù permettendo un culto pubblico; eppure il religioso è sempre stato ritenuto un «beato»: se l’ordine a cui apparteneva non ha mai aperto un processo di canonizzazione, bisogna considerare che Urbano VIII nel 1643 stabilì la liceità della venerazione da parte del popolo di Dio per i grandi testimoni della fede acclamati spontaneamente «da almeno 100 anni» santi o beati. Infatti, il menologio edito a Roma nel 1950 inserisce il suo nome al 20 dicembre, proponendo appunto testi liturgici propri per celebrarne la memoria. 

Nel paese natio, in loc. Funtana Marina, neanche quaranta anni fa fu costruito dai parrocchiani un santuario a lui dedicato nel periodo in cui fu parroco don Antonio Falconi; e nella posa della prima pietra, avvenuta nel 1990, il vescovo Giovanni Melis mise nelle fondamenta, per le mani del vicario generale Pietro Marcello, la pergamena dedicata al «beato Pietro Messalenis». È sempre nell’episcopato di monsignor Melis che furono commissionati e realizzati da Piergiorgio Gomez i portoni della chiesa cattedrale di Nuoro dove, insieme a Maria Gabriella Sagheddu, Antonia Mesina, Giovanni Antonio Solinas, è rappresentato anche Pietro. Un’altra immagine di «Petrus ottanensis», molto più antica, è custodita nel convento francescano di Fonni, in una delle ante della paratora della sacrestia della basilica. In più, nella chiesetta di Sant’Antonio sempre a Ottana, demolita e ricostruita nella seconda metà del secolo scorso, si custodisce una statua lignea di piccole dimensioni risalente al 1500: per quanto il “santo” sia raffigurato con l’abito nero dei benedettini e non quello bianco dei camaldolesi, i fedeli locali da sempre attribuiscono il simulacro al loro compaesano. Quindi, nel 1975, fu acquistata una nuova statua realizzata dall’artista Giuseppe Nardini di Milano, ora collocata nella suddetta chiesa nell’agro di Ottana; nello stesso anno e ancora nella capitale lombarda, il pittore Adriano Ambrosioni realizzò il dipinto del «Santu Predu Sardu», raffigurante il religioso in preghiera, quadro visitabile ancora nella chiesetta di Sant’Antonio. Da allora, come attesta l’attuale parroco Pietro Borrotzu, ogni anno si riprese a ricordare la testimonianza del camaldolese con una celebrazione preceduta dalla novena e fissata nel periodo estivo.

Fonni, anta della paratora della sacrestia della Basilica dei Martiri con la raffigurazione del beato Pietro
Frontespizio del manoscritto di Lapi con la Vita di Pietro Massalenis

La maggior parte delle informazioni arrivano comunque da don Riccardo Fenudi, il quale ha conosciuto la storia del beato fin da bambino e nel 2014 ha pubblicato un opuscolo biografico. È significativo che anche l’enciclopedia Treccani riserva una voce a «Pietro Massaleno» curata dal professor Gabriele Mazzucco. Le notizie riportate dall’unico sacerdote di Ottana nel presbiterio nuorese e dal pilastro del sapere in Italia si basano sulle fonti storiche a noi pervenute: la Vita redatta in latino dal confratello Mauro Lapi all’indomani della morte e conservata nella Biblioteca marciana di Venezia; la traduzione di quest’opera in lingua italiana fatta nel 1700 da un altro camaldolese, Anselmo Costadoni, e reperibile presso la Biblioteca Vaticana; il profilo tracciato nelle sue lettere da Francesco Barbaro, umanista del XV sec., politico e diplomatico al servizio della Repubblica di Venezia. C’è anche il diploma di ordinazione sacerdotale, nell’archivio di Murano, da dove si scopre il cognome di Pietro, «Masalen», mai citato altrove: ciò fa pensare che le varianti Me/assaleno/i siano solo errate interpretazioni e che il vero dato anagrafico sia Masala, diffusissimo in Sardegna.

Piuttosto, da queste pagine si possono scoprire le glorie del «beato Pietro sardo», nato nel momento burrascoso del grande scisma papale tra il 1368 e il 1417, le cui conseguenze arrivarono anche nella valle del Tirso, dove la sede vescovile nel 1389 fu affidata a un presbitero locale, Nicola, parente dei genitori di Pietro. Questi chiesero al nuovo pastore di preoccuparsi della formazione e dell’istruzione del ragazzo, il quale fu avviato al cammino di speciale consacrazione, diventando prete. Successivamente, Pietro compì il primo viaggio penitenziale in Terra Santa, facendo tappa a Venezia, dove fu ospitato nel monastero camaldolese di Murano, allora sotto la guida dell’abate Paolo Venier. Qui il novello sacerdote ritornò chiedendo di essere accolto nella comunità e fece la sua professione monastica nel 1411. Lo caratterizzò «il portamento umile e modesto» e fu giudicato «composto e riservato nel conversare, allegro e ben disponibile al dialogo»; il digiuno, la povertà, il silenzio e la preghiera furono da lui incarnate in modo straordinario. Dalle sue esperienze mistiche si spiegano guarigioni e miracoli già da quando era ancora in vita, prodigi tramandati nei canti dei Gosos, di cui esiste una versione abbastanza antica. Dopo 43 anni tra le mura del convento, morì ammalato nel 1453 e fu sepolto nel presbiterio, accanto all’altare maggiore. Purtroppo, in seguito alla ricostruzione della chiesa di San Michele avviata dopo il 1468, si perse la memoria del luogo della sua tumulazione.

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--