Gianni Cossu e Marco Spiga (photo by Luca Mele)
La religiosità dolente del “giudizio” sattiano
di Luca Mele

11 Giugno 2024

4' di lettura

Nuoro - Otto repliche non sono bastate per accontentare gli spettatori dell’opera teatrale Il giorno del Giudizio, una produzione di Sardegna Teatro scritta e diretta da Marco Spiga. Dopo le esibizioni proposte a Nuoro dal 7 dicembre 2023 al 30 marzo 2024, è stato annunciato il decimo appuntamento tra le rovine di Tharros per la sera del 17 luglio prossimo. «4500 presenze non sono la cartina tornasole di un “Successo”, ma confermano l’apprezzamento e l’interesse di un pubblico che godendosi lo spettacolo ha saputo riflettere la propria identità nelle figure dei personaggi», ha affermato lo stesso autore e regista. È noto come dall’uscita del suo romanzo Salvatore Satta non abbia subito conquistato la simpatia dei nuoresi per il “giudizio”, appunto, severissimo sulla città e sui suoi usi e costumi, ma ultimamente la rivalutazione di questo capolavoro della letteratura italiana ha permesso «un effetto “specchio” pure in sala, dove nessuno si è sentito non più offeso, anzi divertito nel vedere alcuni difetti ancora attuali, vivendo l’esperienza ambivalente del considerarsi fuori e dentro la storia dei protagonisti», ha dichiarato ancora Spiga. 

Uno dei fattori cruciali nel processo di identificazione tra la rappresentazione e la platea è stato anzitutto quello della traduzione dei dialoghi in limba, un lungo lavoro voluto e coordinato da Gianni Cossu: «Fedelmente alla provenienza dei protagonisti del racconto, i testi in sardo sono stati scritti nelle varianti dialettali del nuorese, del logudorese e del sassarese. E nell’intento di rendere la storia ancora più coinvolgente si è andati alla ricerca delle espressioni più originali (e altrettanto simpatiche), quei ditzos pieni di significato che il sardo rischia di perdere nel cambio generazionale e in virtù delle infinite influenze linguistiche». A tal proposito è degno di nota l’apporto dato dagli interpreti stessi, immersi nella forte familiarità con tutto lo staff: loro si sono permessi qualche suggerimento per migliorare il copione, attenzioni di cui Cossu ha saputo far tesoro. Infatti, sul palco pochi sono i maestri della recitazione e non compaiono artisti famosi; piuttosto attori non professionisti capaci di catturare ancora meglio l’apprezzamento degli spettatori, sempre più “vicini”, dunque, alla narrazione.

Altro elemento a favore di questa eccezionale simbiosi è spiegato in esclusiva da Spiga, consapevole di dialogare con e tramite un settimanale cattolico: «Al di là dell’immortale divisione tra ricchi e poveri e del ricorrente tema della giustizia sociale, Il giorno del giudizio è tutto permeato da un trascendente continuo, una religiosità dolente e lungamente pensata in tutte le sfaccettature. Richiami che si ripresentano in qualsiasi connessione: in Gonaria abbiamo una fervente credente, quasi a livelli di santa Teresa d’Avila, che rimette in discussione le sue certezze; sacerdoti, canonici, monsignori che si sforzano di credere e quasi arrivano a maledire la vita, lasciando intendere che il ministero svolto sembra un posto di lavoro per mantenersi vivi… Difficile citare tutti ma per ogni personaggio Satta dimostra quanto sia necessario fare i conti con la propria esistenza». L’attore e regista dà questa interpretazione auspicando una collaborazione affinché un domani si possa realizzare una lettura teologica del libro, nella ricerca di una spiritualità innata paragonabile a quella di Giacomo Leopardi o di Umberto Eco : «In certi passaggi non sembra di avere davanti un giurista laico, ma San Paolo o San Giovanni: la convivenza con un male eterno e il senso dell’espiazione, la ricerca di senso da parte di chi affida la propria vita a un narratore contro rassegnazione, determinismo e “inutilità”». Spiga, che ha dovuto restringere il raggio dell’esplorazione al 1913 (quello che Satta definisce «l’anno della confusione»), constata come al termine del romanzo «tutta la sensibilità religiosa confluisca nell’inesorabile e definitivo giudizio finale, dal quale nemmeno il “narratore onnisciente” (visto come un “ridicolo dio”) resterà escluso».

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