La morte di don Salvatore Ticca
di Redazione
4' di lettura
20 Maggio 2021

La chiesa di Nuoro è in lutto per la morte di don Salvatore Ticca. A darne notizia il sito della diocesi (leggi). Lo ricordiamo con l’articolo pubblicato dal nostro settimanale in occasione dei cinquant’anni di sacerdozio, festeggiati nel 2011. «Voglio essere prete e basta»: la semplicità elevata a modello di vita. Nessun’altra parola potrebbe riassumere meglio il percorso umano e spirituale di don Salvatore Ticca come quel programma “minimo” da lui pensato negli anni degli studi di teologia, in vista dell’ordinazione sacerdotale, e coerentemente vissuto da presbitero. Prete e basta don Ticca lo è da cinquant’anni, mezzo secolo di servizio fedele alla Chiesa festeggiato nella parrocchia del Sacro Cuore, alla presenza del Vescovo Mosè Marcia, di Monsignor Ottorino Alberti e di numerosi confratelli – compreso don Salvatore Angelo Nieddu, ordinato sacerdote insieme a lui da Monsignor Melas il 9 luglio del 1961. Servizio e obbedienza simboleggiati dall’inchino riverente con cui don Ticca si è rivolto al suo Vescovo che a fatica tratteneva la commozione, potenza di gesti che superano le parole, vanno oltre discorsi di circostanza e insieme dicono la statura delle persone. Per celebrare il cinquantesimo di ordinazione ha voluto attendere il 17 settembre, data che ricorda l’impressione delle stimmate di San Francesco, don Ticca è infatti assistente spirituale dell’Ordine francescano secolare della parrocchia oltre che cappellano del Cimitero. Un triduo organizzato e guidato da don Giovannino Puggioni con meditazioni sul sacerdozio ha preceduto la solenne concelebrazione animata dal gruppo dei giovani e vissuta in un clima di gioiosa e commossa partecipazione anche da parte di chi ha potuto apprezzare negli anni l’aiuto e la vicinanza di don Ticca, come le comunità neocatecumenali delle parrocchie di San Paolo e San Giuseppe oltre naturalmente ai fedeli del Sacro Cuore che l’hanno conosciuto vice parroco e che ancora godono della sua presenza discreta, della sua disponibilità al confessionale, che ogni domenica alla prima Messa lo trovano all’altare. Prete e basta che in premio non ha mai ricevuto titoli, che nella sua missione si è visto cappellano dell’ospedale, viceparroco al Sacro Cuore e a Orosei, parroco a Gorofai quindi nuovamente cappellano, un percorso che dal punto di vista umano appare strano eppure accettato senza mai creare un problema, un attrito, una polemica. Il premio lo augura il Vescovo: «l’intimità con Cristo». Un augurio che nasce dalla meditazione sulla Parola del Vangelo di Matteo, la parabola degli operai mandati nella vigna, pagati ciascuno con un denaro, gli ultimi come quelli della prima ora. «Cosa significa questo denaro che farebbe drizzare i capelli a qualsiasi sindacalista? E qual è questa paga? – si è chiesto Monsignor Mosè –: il Signore ripaga con l’intimità». Intimità di un Dio totalmente altro perché i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre, perché quanto il cielo sovrasta la terra così le vie e i pensieri di Dio sovrastano i nostri – ha spiegato il Vescovo con le parole della prima lettura da Isaia –, eppure vicino a chi lo invoca come canta il Salmo 144. Nella misura in cui si comprende l’ottica di Dio ecco che Lui ci ripaga con la sua intimità. Intimo con Lui è stato ed è un uomo semplice che da cinquant’anni è prete e basta, che si schernisce dei propri limiti ma che per questo appare ancora più vicino, più fedele a quel motto da lui scelto per ricordare la propria ordinazione sacerdotale, preso da un’immagine conservata nel convento dei Martiri a Fonni: «Cristo nel cuore di Francesco, Francesco nel cuore di Cristo». Ecco il suo premio. (fra. co.) © riproduzione riservata

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