La celebrazione presieduta da monsignor Saba (photo by Conferenza episcopale sarda)
Gesù dona il nutrimento che non perisce
di Redazione

13 Aprile 2024

5' di lettura

Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Gianfranco Saba, Arcivescovo Sassari, in occasione della concelebrazione eucaristica, nella basilica di San Giovanni in Laterano, con i Vescovi dell’Isola, nell’ultima giornata della visita «ad limina».

Questa mattina celebriamo l’Eucaristia sull’altare davanti alla Cattedra del Vescovo di Roma, che presiede tutte le Chiese nella carità. Non a caso le due cattedre, la Cattedra della Croce di Cristo e la Cattedra del Pastore, sono poste in stretta connessione in questa magnifica raffigurazione.

Come abbiamo ascoltato nel Vangelo proclamato, anche noi siamo chiamati a volgere lo sguardo, imitando Gesù. Lo sguardo di Gesù sulla folla non è vago. La folla verso cui volge lo sguardo non è anonima, una folla che ha la capacità di colpire il cuore di Gesù, come se la domanda fosse posta a lui da ogni singola persona. Il gran numero delle persone non scoraggia Gesù, anzi, lo induce a coinvolgere i suoi discepoli. Filippo gli pone la domanda: «Dove potremo comprare il pane perché questi abbiano da mangiare?». È la domanda che Gesù consegna nel Mistero dell’Eucaristia, nel Mistero della Chiesa, in ogni Magistero, anche alle nostre Chiese e a ciascuno di noi. Gesù coglie il bisogno e la domanda della persona umana, la fa emergere; condivide questa domanda con i suoi discepoli e li coinvolge per cercare con loro una soluzione. Come ci ricorda la tradizione patristica nella visione soteriologica, il Creatore coinvolge la sua creatura.

Nel Vangelo vediamo Filippo che manifesta il proprio stato d’animo: è consapevole di non possedere il denaro per comprare il pane che sazia. Indica la presenza di un ragazzo, generoso e disponibile, che non pone ostacoli. Da questa pochezza e da questa disponibilità Gesù sfama una folla. Egli rende grazie e dona il pane, egli stesso lo distribuisce. In questo segno celebra e annuncia il mistero della sua Pasqua. La folla diviene commensale attorno a Gesù, che è il pane donato. Sazietà ed abbondanza esprimono il suo dono messianico. Egli dona il nutrimento che non perisce, la vita divina che è venuto a portare. Questo modo di agire di Gesù suscita anche un modo di agire della Chiesa: la dimensione comunitaria della salvezza. Come ci ricorda la Lumen Gentium, «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (LG 9).

Lo sfondo culturale di questa basilica testimonia un momento storico nel quale veniva recepito in modo forte il mistero di Cristo Salvatore, che tiene insieme nella sua Pasqua morte e risurrezione: è una teologia della vittoria che anche nelle raffigurazioni intende esprimere il vero senso della vittoria di Cristo, libera da ogni forma di visione orizzontale.

L’imponente raffigurazione che sovrasta il catino di questa basilica mostra come immagine costante che alimenta la fede della comunità cristiana il mistero pasquale di Cristo, dal quale sgorgano i frutti della redenzione. Di fronte a tante proposte salvifiche, progressivamente, sin dall’antichità, si comprese la dimensione personale e relazionale della salvezza cristiana. Questa basilica nacque come un segno monumentale del mistero salvifico di Cristo Salvatore: la simboleggia, la raffigura e celebra la sua Pasqua. Se da una parte, forse, l’autorità imperiale intendeva celebrare una vittoria di tipo umano, la Chiesa in essa annuncia al mondo intero un altro tipo di vittoria: la vittoria di Cristo. Per questo la Basilica del Santissimo Salvatore, in epoca medievale fu dedicata anche a san Giovanni Battista e a san Giovanni Evangelista e meritò il titolo di cunctarum mater et caput ecclesiarum. La fede è quindi un dono della grazia di Cristo, dono che passa anche attraverso il Magistero della Chiesa. Sant’Agostino ci ricorda: «Questa è la mia fede, perché questa è la fede cattolica» (Trin. I, 4.7). Questa regola (la cosiddetta regula fidei) è anzitutto costituita dalla Scrittura: «C’è l’autorità della divina Scrittura dalla quale la nostra mente non deve mai deviare per non precipitare, una volta che si è abbandonato il punto fermo della parola di Dio negli abissi delle proprie congetture, dove non guida il senso del corpo, né brilla la luce della Verità» (Trin. III, 11.22). In questo catino sono raffigurati Cristo e le sue membra: Il Magistero e gli insegnamenti sono utili per la fede se ben compresi nel mistero della Tradizione degli Apostoli, a noi trasmesso ininterrottamente. Queste immagini, infine, ci ricordano le domande di salvezza del nostro tempo, così come esse emergevano ai tempi in cui fu costruita questa Basilica monumentale. In esse c’è la risposta della teologia dell’Incarnazione del Verbo e della sua opera redentrice, che professiamo nel Credo: qui propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de coelis et incarnatus est…
Sono le risposte alle domande che la Gaudium et Spes ci ricorda sottolineando che le «aspirazioni sempre più universali dell‘umanità» (n. 9) e degli «interrogativi più profondi del genere umano» (n. 10) stanno a cuore alla Chiesa e alla sua opera di evangelizzazione.

Gianfranco Saba – Arcivescovo

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