Il calciatore ospite degli studi Radio Barbagia accanto a Franco Stefano Ruiu
Emerson, il brasiliano diventato nuorese
Intervista al fuoriclasse in forza alla Nuorese dove è tornato lo scorso anno a distanza di 10 anni dalla prima esperienza
di Redazione Radio Barbagia

9 Giugno 2024

9' di lettura

Una vita da mediano quella di Emerson Ramos Borges, brasiliano di nascita, nuorese d’adozione. Il calciatore è stato protagonista di una lunga intervista ai microfoni di Radio Barbagia. Ne riportiamo un estratto.

Diciamo subito una cosa, il prossimo anno continuerai ad essere un giocatore della Nuorese?
«Spero di continuare a dare il mio contributo in campo e anche fuori perché il campo è il mio habitat naturale dove amo stare, amo trasmettere la mia passione e il mio amore per questo sport meraviglioso». 

Ma stai già facendo anche l’allenatore? 
«Quest’anno la società mi ha dato la possibilità di allenare la squadra juniores e mi sono trovato veramente bene. Un percorso che non conoscevo ancora nella mia carriera e mi ha aperto un mondo, delle dinamiche nuove nel gestire 25 teste diverse. Fare il giocatore è facile, fare l’allenatore è tutta un’altra cosa perché bisogna ragionare anche con la testa degli altri. Prima di tutto insegno a rispettare, a stare nel modo giusto in mezzo alle persone, a capire che noi di fronte possiamo avere una storia diversa dalla nostra, sapere che tutti vorremmo rispetto ma che per questo prima di tutto dobbiamo rispettare».

Parliamo delle tue origini. Quanti anni hai e dove sei nato? 
«Io sono classe 1980, vado per i 44. Sono nato a Joinville, nella regione di Santa Catarina, nel sud del Brasile. Una città industriale di di 500.000 abitanti».

Nonostante questa tenera età continui a tirare e a prendere calci, correndo appresso a unpallone. La domanda sembra banale, chi te lo fa fare? 
«Il mio cuore, la mia famiglia, i miei amici, anche perché il calcio è una passione che viene da piccolino, papà ha giocato a calcio, mio fratello, i miei zii. Sono cresciuto in mezzo al calcio e il calcio mi ha dato la possibilità di conoscere tantissime persone meravigliose che mi hanno spinto nella mia nella mia carriera, nel mio percorso calcistico ma anche nella vita. La decisione di tornare a vivere a Nuoro è proprio la dimostrazione esatta di quello che il calcio significa per me. Mi ha dato la possibilità di conoscere una città che mi ha adottato dal primo minuto in cui sono arrivato e andare in campo, ripagare questo amore, questo affetto è il minimo che io possa fare».

Tu da bambino sognavi di fare il calciatore affermato oppure che cosa? 
«Da bambino correvo dietro a un pallone nel cortile di casa di miei genitori, fortunatamente un cortile bello grande come un campo da calcio a cinque dove io mi costruivo la mia porta, la barriera, calciavo le punizioni da solo quando i miei amici andavano via verso le 5 e mezza, 6, quando i genitori li chiamavano. Io continuavo fino alla sera tardi a battere le punizioni da solo, a immaginarmi uno stadio pieno. E quello ho sempre fatto, piano piano, mentre crescevo, mentre iniziavo a capire che il calcio diventava sempre più la un’ossessione e sempre un obiettivo da raggiungere e quindi quando sono arrivato a giocare la prima volta in uno stadio di calcio con gli adulti riavvolgevo il nastro e pensavo a quanto ero felice a giocare da bambino e quanto mi ha aiutato a realizzare tutti i miei sogni».

Io ti ho definito mediano, era il tuo ruolo? 
«Io inizio da attaccante, attaccante esterno, poi divento terzino, quello di mediano è il ruolo dove mi divertivo di più perché tocca tanti palloni, fa parte del gioco più di un difensore insieme agli attaccanti. Poi ho trovato un allenatore che mi ha fatto diventare difensore centrale. Lo devo solo ringraziare perché mi ha allungato la carriera e oggi a 44 anni sono ancora in campo, forse anche per quel cambio di ruolo».

Dopo il tuo arrivo in Italia e in Sardegna, dopo l’esperienza nel profondo Campidano sei venuto a Nuoro. Cosa ricordi di quella nuorese del 2004? 
«Ricordo che quando arrivai a Nuoro c’era anche mio fratello con me che ha fatto la preparazione, poi andò via a giocare a calcio a 5. Ricordo che la Nuorese veniva da una salvezza un po’ sofferta l’anno prima. Con la campagna acquisti che aveva fatto il presidente Goveani insieme alla dirigenza, piano piano si capiva che stavamo giocando in una piazza importante. Già da subito abbiamo capito che qua era come giocare in Serie A. Si vedeva che il calcio era il pane quotidiano della gente e voleva vedere una squadra che andasse in campo e facesse vedere il carattere del nuorese. Vincere il campionato sicuramente aiuta a riportare l’entusiasmo come è successo quest’anno. Però sono stati gli anni più belli della mia carriera. Sicuramente il primo anno di Nuorese in Eccellenza è stato quello in assoluto il campionato più bello che ho disputato in tutta la mia carriera. I miei genitori sono stati a Nuoro nel 2005 quando abbiamo vinto la Serie D e queste sono state le parole di mia mamma quando è venuta a vedere la partita. Ha detto “Io sono venuta a Nuoro per vedere come trattano mio figlio e ho visto che lo trattate meglio di me”, quindi mi emoziono anche perché alla fine è la verità».

Possiamo dire che Nuoro è stato il tuo trampolino di lancio? 
«Possiamo dire alla grande che Nuoro è il mio trampolino di lancio, è casa mia. Mai potevo immaginare di fermarmi a vivere qua perché uno quando fa questo mestiere sa che da un momento all’altro può cambiare città, può conoscere persone nuove, può avere un rapporto con con una città nuova. Ma io con Nuoro ho sempre avuto un rapporto di casa mia quindi non l’ho mai lasciata. E quando è venuta fuori la possibilità di tornare a casa non ci ho pensato neanche mezza volta». 

A cosa può ambire la Nuorese? 
«Sicuramente c’è l’ambizione di continuare a fare bene perché ha dimostrato già quest’anno che basta una fiamma e viene fuori il fuoco. La gente ti spinge a fare determinate cose che in altri posti non è possibile fare, calcisticamente parlando. Poi è una città che ha bisogno di entusiasmo, è una città particolare, il nuorese è molto diffidente, non ti dà subito la mano, si aspetta sempre che ci sia una cosa positiva, ma non parlo solo calcisticamente, parlo a livello anche di vita sociale, c’è bisogno di quella scintilla per far partire il fuoco. Il presidente insieme alla società vorranno fare un campionato importante in Eccellenza, sicuramente adesso è il momento di un bilancio, di capire quello che è stato fatto e quello che si farà in futuro e quindi appena verrà fuori sicuramente programmeranno bene per la prossima stagione. Io ci sarò se ci sarà la fiducia della società. Abbiamo avuto modo di parlare e credo di continuare anche perché io voglio giocare per dare il mio contributo. Dico la verità, sono tornato a Nuoro solo per questo, perché volevo aiutare la Nuorese a ritornare in una categoria dove era già prima, ma la squadra deve tornare in una categoria superiore». 

Adesso parliamo di un brasiliano che è tornato a Nuoro, ha conosciuto la città tanti anni fa e si è ritrovato a Nuoro oggi. Cosa hai trovato di uguale, di diverso? 
«Ho ritrovato una città che ha bisogno di essere coccolata da chi la guida, una città che ha tante risorse e tanto da dare, ha solo bisogno di trovare le persone giuste che le vogliano bene. Se cerchiamo le persone e troviamo quelle che vogliono bene alla città, è una città fantastica da vivere. Io ho deciso di rientrare in Sardegna e di vivere e di crescere i miei figli a Nuoro solo per questo motivo, perché amo questa città e la voglio anche nel mio piccolo aiutare a crescere sia sportivamente sia nel sociale. Cerco sempre di coinvolgere le persone a capire che non bisogna solo dire quello che deve essere fatto ma bisogna anche dare il proprio contributo sia diretto che anche indiretto». 

Da grande cosa vuoi fare? 
«Voglio aiutare la mia città, voglio dare il mio contributo a far crescere ancora di più Nuoro. Sportivamente parlando vorrei lavorare con i bambini per cercare di dare a loro la possibilità di fare il percorso che ho fatto io quando sono arrivato qua nel 2004. Siamo noi grandi adulti che dobbiamo dare la possibilità a questi ragazzi di sognare. Se noi gli togliamo anche la possibilità di sognare questi ragazzi non andranno da nessuna parte. Andranno in giro, andranno per strada. Bisogna insegnare anche il sacrificio, la rinuncia, perché loro devono capire che per arrivare dove vogliono arrivare devono costruire quello che è il loro percorso».

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