È la fiducia in noi stessi a renderci liberi
di Franco Colomo

14 Luglio 2020

10' di lettura

Orientare, formare, selezionare sono i tre verbi con i quali si può riassumere il lavoro, o meglio la missione che Sonia Careddu si è data, quella di accompagnare i suoi clienti nella scelta o nella ricerca di un impiego, con tutto ciò che questo comporta, avendo come stella polare lo sviluppo e la crescita della persona. La sua è la storia di un’andata e di un ritorno, una storia cominciata a Nuoro dove è nata e dove ha studiato diplomandosi al Liceo Classico. Poi la laurea a Cagliari in Scienze Politiche, indirizzo Sociologico con una tesi su “I messaggi pubblicitari rivolti alle donne. Un’analisi sociologica su due riviste femminili. 1960-1990”. Dopo la laurea, nel 1996, la prima esperienza di lavoro come Tutor d’Aula per la formazione. A quel punto capisce – come scrive lei stessa di sé nel suo sito – che le interessava lavorare con le persone e che questo poteva essere il suo obiettivo. Sceglie di investire i soldi del suo primo lavoro in un corso di specializzazione per la gestione delle Risorse Umane, a Milano. Nel 2000, sempre a Milano, viene assunta in una compagnia assicurativa, l’attuale Unipolsai, dove lavora per tredici anni nella direzione del personale, acquisendo consistenti esperienze personali e professionali. Si occupa di selezione, gestione del personale, sviluppo attraverso un progetto di mappatura delle competenze e, negli ultimi anni di formazione dei comportamenti, il ruolo – dice – che ha amato di più. Decide poi di re-iscriversi all’università, in Psicologia del Lavoro presso la Sapienza di Roma, laureandosi nel 2010 con una tesi sui “Modelli di mappatura delle competenze”. Nel novembre 2013, «contro qualunque forma di razionalità», decide di lasciare il lavoro a tempo indeterminato per riuscire a realizzarsi «come professionista nella consulenza e per una scelta di vita a velocità più umana », ritornando in Sardegna. Il suo sito è www.fidatidite.it Sonia, come hai lasciato Nuoro e la Sardegna e come le hai ritrovate? «Ho lasciato la Sardegna nel 1998. Ai tempi, dopo gli anni dell’università a Cagliari e la mia prima esperienza di lavoro ad Oristano, era talmente forte l’energia vitale e la voglia di una crescita personale, che non avevo piena consapevolezza della situazione che lasciavo. Ora che ho vissuto in luoghi estremamente diversi tra loro, quindici anni per lavoro a Milano e quattro nelle Isole Eolie, a Lipari, con il mio compagno, capisco meglio opportunità e limiti della Sardegna. Cagliari, dove sono tornata a vivere per qualche mese dopo aver lasciato Milano, è sotto gli occhi di tutti, ha avuto una bella evoluzione. Nuoro, come scrivo in un mio racconto, ha sempre quell’aria da “vecchio seduto su una panchina”. Ma andando oltre quell’aria stanca e talvolta triste, devo rendere onore a chi, faticosamente, porta avanti attività lavorative, iniziative culturali, azioni sociali. Io stessa sono iscritta alla Scuola di Lettura e Scrittura dell’università di Nuoro, che regolarmente richiama nomi di primo piano della letteratura nazionale. Tanti sono gli esempi positivi, dai commercianti del centro, al Man, a chi organizza laboratori linguistici ecc. La mia preoccupazione più grande è il fatto che la Sardegna sia la regione con il più alto tasso di studenti che non terminano la scuola dell’obbligo. Su questo tema dovrebbero concentrarsi tutti i nostri sforzi. Ripartire da casi virtuosi di ragazzi che dopo aver studiato, anche all’estero, ritornano e ad esempio realizzano forme di artigianato originale che vendono con successo attraverso internet, pur vivendo in piccoli e remoti paesi della Sardegna, mettendo a frutto istruzione e creatività». In cosa consiste il tuo lavoro oggi e come si articola? «Il mio lavoro come orientatrice consiste in un’attività di sostegno rivolta a chi è alla ricerca di una prima occupazione, chi vuole ricollocarsi perché ha perso il lavoro o vuole cambiarlo, chi vuole definire meglio il suo obiettivo professionale o individuarlo, chi è indeciso tra percorsi di studio o lavoro diversi. Attraverso tecniche di counseling (consulenza ndr) e strumenti acquisiti durante i miei anni di lavoro in azienda, conduco dei colloqui via Skype con i miei clienti che si trovano su tutto il territorio nazionale. Come formatrice lavoro per aziende ed enti di formazione, gestendo aule sui temi della comunicazione efficace e dell’orientamento (ad esempio: strumenti ricerca lavoro, compilazione Curriculum, lettere presentazione, gestione colloqui ecc). Infine per aziende clienti mi occupo di interventi di selezione e sviluppo. In Sardegna, ad esempio, sono stata coinvolta nella selezione degli autisti Arst, che mi ha dato modo di conoscere le storie lavorative di tante persone, attraverso l’elevato numero di colloqui di selezione effettuati». Se ho capito bene, hai scelto un approccio che parte dall’ascolto e dal rispetto della storia delle persone: quanto è faticoso farsi in qualche modo carico di un “peso” tanto importante? «È faticoso perché cerco di entrare in ascolto profondo dei miei clienti e nello stesso tempo devo riuscire a mantenere una visione razionale e sistemica della situazione in cui si trova la persona. Mi sento positivamente responsabile del percorso intrapreso, ancora di più quando parliamo di orientamento, vista la centralità del lavoro nelle nostre vite. L’obiettivo del cliente diventa il mio, inevitabilmente». Il tema della fiducia si dipana su vari livelli, dai e chiedi fiducia e allo stesso tempo poni come presupposto che la persona di fronte a te la abbia di se stessa, non ti senti fuori moda? «Credo che la fiducia sia un concetto che non passerà mai di moda, è la base di tutto, regola le nostre vite e le relazioni con gli altri. Quando ho pensato al nome del mio sito, Fidatidite, trovarlo è stata un’illuminazione. È il percorso che può compiere ognuno di noi se vuole trovare la sua parte più vera e naturale. Quella che ci perdiamo quando ci facciamo trascinare da dogmi familiari, sociali, quando ci dimentichiamo di rispondere alle nostre spinte più profonde. Senza la fiducia in noi stessi, nella nostra capacità di scelta, nelle nostre intuizioni, nel capire le nostre attitudini, nello sviluppare le nostre competenze, alla fine nel “realizzare noi stessi”, difficilmente riusciamo ad aprirci agli altri, a costruire delle relazioni positive, sane, serene perché prive di frustrazioni. È la fiducia in noi stessi a renderci liberi». Quanto è importante che un giovane – o un adulto, visto l’ingresso sempre più posticipato nel mondo del lavoro – segua le proprie aspirazioni? Ma quanto è difficile che non vada incontro a grandi delusioni? Come lavorare anche su questo secondo aspetto? «Seguire le proprie aspirazioni, le proprie passione vitali è fondamentale. Per un giovane ma anche per un adulto che trova il coraggio di rischiare. Io parto da me stessa, quando ho lasciato il mio lavoro a tempo indeterminato, con benefit e coperture sanitarie, per diventare consulente, ho azzardato. Se non andiamo incontro alla possibilità di subire delle delusioni, vivremo con la certezza delle frustrazioni per non aver mai avuto il coraggio di rischiare. Chiaramente bisogna avere una buona dose di equilibrio, studiare approfonditamente il contesto nel quale ci muoviamo: dove siamo, cosa sta succedendo attorno a noi? Attualmente sto seguendo un giovane cliente che vuole proseguire il suo percorso lavorativo come figura specializzata nell’Alta Moda (in questo momento è in disoccupazione). Lavorando sul suo profilo Linkedin, abbiamo avuto un riscontro importante. Il mio cliente è stato convocato per un colloquio di selezione da parte di uno dei più grandi marchi nel settore moda a livello internazionale. I tempi della selezione, a causa del Covid, si sono dilatati. Probabilmente dovremo scendere a compromessi, accogliendo opportunità alternative di aziende meno importanti. In questo caso il mio lavoro con il cliente è doppio, da un lato mantenere l’obiettivo a lungo termine, dall’altra razionalizzare e capire che ogni esperienza, nello stesso settore, è importante. Il senso del sacrificio, del compromes- la pazienza, la tenacia sono i più grandi alleati quando si hanno obiettivi così alti». Che ruolo ha la comunicazione nella formazione personale? «La comunicazione è un aspetto trasversale, riguarda qualunque professione si svolga. Dal ruolo più semplice a quello più tecnico. Un buon presidio degli strumenti di comunicazione, scritta e parlata, ci aiuta ad essere efficaci, ad esprimere meglio i nostri obiettivi, a mediare in situazioni complesse, ad avere delle relazioni costruttive con gli altri. Gli strumenti comunicativi, pensiamo ai social, sono ormai alla portata di tutti, nel senso che, chiunque abbia un profilo, è libero di esprimersi. Ma quante delle persone che scrivono utilizzano correttamente la lingua italiana? Quante persone, semplicemente, rileggono ciò che scrivono? Quanti insegnanti, all’interno della scuola pubblica, usano efficacemente i canali della comunicazione per riuscire ad attrarre i loro alunni? Mi è capitato di svolgere dei colloqui di selezione con ragazzi neolaureati che si esprimevano con bassa padronanza linguistica e comunicativa. Tutto questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza di incontrare sulla nostra strada dei buoni “maestri”». Come è cambiato, se è cambiato, il tuo lavoro nel periodo dell’emergenza Covid? «Nella mia attività di orientamento non è cambiato niente. Ero abituata a lavorare a distanza collegandomi via internet con i miei clienti. Rispetto alla mia attività come formatrice ovviamente è cambiato tutto. Ho avviato la preparazione di video per la formazione a distanza, vorrei strutturare dei seminari via web. La formazione attraverso la rete è comunque imparagonabile rispetto a quanto avviene in presenza. L’aula consente di cogliere umori, percepire sensibilità, far nascere domande, confronti che emergono appunto per la magia che si crea nell’interazione vera tra le persone. Spero di tornare presto in aula». Sei felice del percorso che hai intrapreso? «Tante volte, specie nei momenti di difficoltà, mi sono posta questa domanda. Aver lasciato un lavoro certo ed essermi posta nelle condizioni di dovermi “creare” il lavoro, attrarre clienti, sembrerebbe una follia. Sono grata per quello che mi ha insegnato l’azienda, ho avuto dei colleghi meravigliosi, qualche capo è stato un vero esempio, ho avuto la possibilità di formarmi con i migliori nella consulenza aziendale (Palo Alto, Mida, HayGroup ecc). Ma c’è stato un preciso momento in cui ho capito che avevo bisogno di realizzare me stessa come singolo artefice degli obiettivi conseguiti e non come piccola parte di un ingranaggio aziendale. Sono felice di partecipare attivamente ai risultati che raggiungono i miei clienti, sono felice di conoscere le loro storie così diverse e di poter contribuire positivamente, attraverso la selezione, la formazione, lo sviluppo e l’orientamento, al miglioramento delle loro vite». © riproduzione riservata

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