Don Lorenzo Milani insieme ai suoi studenti di Barbiana, fotografia di Oliviero Toscani, 1959 (ph by Wikipedia)
Don Lorenzo Milani, fuoco sempre acceso
Un intervento del professor Angelo Rossi, dirigente scolastico a Milano e autore di un volume su don MIlani
di Redazione

15 Giugno 2023

10' di lettura

Tutto di don Lorenzo Milani resta integro, a cento anni dalla sua nascita c’è un fuoco sempre acceso. 

Ho ancora in mente l’intervista, sofferta, a Famiglia Cristiana (26 maggio 2016) di Loris Capovilla dove riconosce di aver fatto poco per lui nei mancati incontri con Giovanni XXIII e ci fornisce un’immagine straordinaria di don Lorenzo Milani: «Da parte mia avevo la esultante esperienza di approccio con la gente in veste di predicatore domenicale a Radio Venezia. Ma i miei predicozzi erano fiorellini nel confronto dei carboni sempre accesi di don Milani».

In questi anni sono stato vicino a questi carboni sempre accesi e soprattutto alle sue ultime parole affidate ad Adele Corradi: «Non ho bisogno di lasciare un testamento con le mie ultime volontà perché tutti sapete cosa vi ho raccontato sempre: fate scuola, fate scuola; ma non come me, fatela come richiederanno le circostanze».

Questo “fate scuola” mi ha accompagnato in tutti questi anni come insegnante, formatore e dirigente scolastico. Le circostanze mi hanno portato a dirigere una scuola nella periferia milanese dove il fare scuola ha significato in dieci anni lavorare per una scuola della comunità attraverso un Patto Educativo di comunità: il primo a Milano con una quarantina di realtà del Terzo settore. L’I Care ha significato aprire la scuola (il Comprensivo Statale “Alda Merini”) dalle otto di mattina a mezzanotte con i suoi spazi, i volontari con contratto a costo zero, i detenuti con contratto, le associazioni e le fondazioni.

Don Lorenzo è una “presenza presente” che domina lo sguardo di chi lo ha conosciuto e di chi lo intercetta nei giorni nostri nelle periferie urbane ed esistenziali, una presenza la cui unica preoccupazione è quella di mostrarsi all’altezza del problema della vita, di invadere l’esistenza dei suoi interlocutori e di chi, come gli di amici, lo hanno preso sul serio fino al punto di far sperimentare loro una vita piena. Il prete di Barbiana ha reso evidente che educare significa porre in atto una carnalità, una presenza, una testimonianza, un ideale e un’attrattiva cruciale per provocare la libertà degli adulti e dei ragazzi. Non c’è educazione senza una presenza che sia in grado di affascinare l’altro, di muoverlo nell’intimo.

Nessun formalismo e nessuna rigidità: la verità è visibile solo nel cuore della libertà. Questo è il cuore del rischio educativo. Ciò corrisponde a quello che Lorenzo ha scritto alla madre dal seminario di Cestello il 14 marzo 1944: «Quando uno regala la sua libertà è più libero di uno che è costretto a tenersela». 

Lui non ha avuto paura di rischiare la sua libertà donandola. L’educazione accadeva per contagio di una vita comunicata e sperimentata. L’itinerario iniziale di Lorenzo è legato alla ricerca dell’amore e della bellezza attraverso l’arte. Quando si iscrisse all’Accademia di Brera nel 1941 si affittò uno studio da pittore. Erano gli anni in cui si firmava “Lorenzino, Dio e pittore”. Per conoscere l’arte sacra visita chiese, abbazie e conventi, fino ad arrivare alla bellezza del Vangelo che lo turba, lo sconvolge e gli cambia la vita.

Entrato in seminario, tornerà a visitare in Oltrarno il suo maestro Saude per dirgli: «Tu mi hai parlato della necessità di cercare sempre l’essenziale, di eliminare i dettagli e di semplificare, di vedere le cose come un’unità dove ogni parte dipende dall’altra. A me non bastava fare tutto questo su un pezzo di carta. Non mi bastava cercare questi rapporti tra i colori. Ho voluto cercarli tra la mia vita e le persone del mondo, e ho preso un’altra strada».

Nel luglio 1973 Alice Weiss, madre di Don Milani, scrisse a Renata Saude, moglie del maestro di pittura del giovane Lorenzo, rimasta da poco vedova: «Penso molto a Lorenzo che in Saude ha avuto il suo primo maestro di serietà, di coscienza, di quella ricerca dell’assoluto nel bene e nel bello che poi ha portato Lorenzo alla sua strada».

Nell’estate del 1942 Lorenzo in vacanza nella tenuta di Gigliola, nei pressi di Montespertoli, entrò nella cappellina sconsacrata della villa, vi rinvenne un messale e lo lesse avidamente prima attratto dall’estetica della liturgia e poi dai contenuti. Così scrisse in una lettera spedita a Oreste del Buono, compagno di classe al Liceo Berchet, nell’estate del 1942: «Ho trovato un vecchio messale qui a Gigliola, in una cappellina di proprietà della mia famiglia. Ho letto la Messa. Ma sai che è più interessante dei “Sei personaggi in cerca d’autore?».

È una lettera che rivela, come diceva Cesare Pavese un “punto infiammato”, una lettera decisiva per la sua adesione al cristianesimo e alla vocazione religiosa. Il “punto infiammato” rimette a tema l’uomo e il compimento, non tanto la frantumazione dell’io. In lui affiorano il complesso di esigenze ultime che definiscono il fondo di ogni essere umano: esigenze di verità, bellezza, bontà, giustizia e felicità. Don Milani è ferito dalla bellezza. Ha cercato la bellezza con la B maiuscola rintracciandola nell’avvenimento cristiano e nell’incontro con la presenza di Cristo, con la sua persona. 

Per il risveglio della sua personalità molto contribuì don Raffaele Bensi con il suo grande carisma educativo. Gli rese evidente che il cristianesimo è un fatto, un avvenimento che entra nella vita, non previsto, non definito, eppure tangibile, concreto, abbracciabile. Comprendo di smontare le impolverate divise d’epoca intorno al profetico sacerdote di Barbiana, a cent’anni dalla sua nascita: utopista pacifista, tribuno dei poveri, castigatore delle ipocrisie clericali, prete comunista, plagiatore dei giovani, piccola despota giacobino, guastatore della scuola italiana, apripista della cattiva scuola, ispiratore del 6 politico, provocatore di un classismo forsennato e miope, dialettico affetto da mania di persecuzione, egocentrico, pazzo, orgoglioso, squilibrato, non ultime le affermazioni deliranti di finocchio eretico e demagogo e pedofilo. Roba da reduci, da pettegolezzo salottiero, pruderie infondate, cattiverie gratuite. Eppure dietro i fiumi della polemica non è difficile rintracciare, già allora, qual era l’unico vestito che meglio si attanagliava: un cristiano autentico e profetico che sceglie per i poveri del Vangelo. La vicenda umana ed esistenziale di Barbiana resta, scrive Pier Paolo Pasolini: «l’unico atto rivoluzionario di questi anni», esperienza di «scuola alternativa e di “antipedagogia”».

Don Lorenzo Milani è stato innanzitutto prete profondamente legato a Cristo e alla Chiesa, nonostante le incomprensioni che subì, molte delle quali (come il suo rapporto con il Cardinal Florit) abbondantemente deformate, in attesa di una giusta rilettura. Come commenta il cardinale Matteo Maria Zuppi, nella sua prefazione alla ristampa delle Lettere, «Don Milani cercava solo l’amore». Amore che genera.

Nei primi anni Cinquanta lui scopre a Calenzano che sotto la certezza di una tradizione e dietro un certo formalismo c’era il vuoto di convinzioni e di esperienze. Decide allora di non vivere su finti allori, sulla ripetizione di riti, ma di essere come in missione, dove occorre ricominciare dalle fondamenta. E cosa c’è di più fondamentale che educare i giovani. Allora si mette a fare scuola ai giovani per poter accrescere la cultura dei suoi e rendere comunicabile a loro il cristianesimo. Pensate: è proprio in quegli stessi anni (tra il ‘55 e il ‘57) la stessa scelta di un altro prete. Don Luigi Giussani lascia l’insegnamento del seminario per andare a fare scuola ai giovani in un liceo statale di Milano, colpito dalla totale assenza del cristianesimo come fatto interessante e provocatorio.

Dove don Milani arriva apre una scuola popolare. Quali sono gli aspetti del suo agire da cui imparare oggi? Innanzitutto l’attenzione alla realtà dei ragazzi, dei quali parla con grande e rude affetto nelle sue lettere, affetto che origina conoscenza profonda e gli permette di comprendere le situazioni concrete. Li ha presenti uno a uno e di ciascuno scrive anche a persone importanti per chiedere aiuto. Trova il tempo per ognuno di loro, per le cose semplici, quasi come una madre (non certo per temperamento!) che vive con loro e ben comprende tra l’altro che quei ragazzi guarderanno ai fatti e non alle parole.

Tutto interessa a lui personalmente e tutto gli interessa per i suoi ragazzi; tutto porta dentro la scuola come i personaggi che invita ogni venerdì alla scuola popolare di San Donato. Così come porta i suoi ragazzi a misurarsi con il mondo fuori della scuola. Per Don Milani non si può fare scuola senza una fede sicura. Qui siamo agli antipodi del soggettivismo o più ancora dei costruttivismi moderni. Si può dire che a San Donato e a Barbiana il metodo educativo è lo svolgersi della sua personalità. La scuola diventa allora una con-vivenza educativa tra maestro e alunni. 

«Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. (…) Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola».

Per il prete di Barbiana la ricchezza più grande di una persona è la parola. «La parola è la chiave fatale che apre ogni porta». (Lettera del 26.3.56) Agli scartati dalla scuola, don Milani propone una scuola come strumento di riscatto, ma una scuola diversa, alternativa. Non una scuola facile e accomodante, ma esigente, da viversi in un apprendistato faticoso. «E per ciò la scuola mi è sacra come un ottavo sacramento». «Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali». Il capovolgimento di visione educativa si vede dall’attenzione data agli ultimi. Barbiana dimostra con i fatti che una scuola può essere, allo stesso tempo, accogliente ed esigente, perché il segreto sta nell’essere significativa, capace di dare un orizzonte di senso, una motivazione profonda. 

L’autore.
Angelo Rossi
, insieme alla nipote di don Milani, Emma Paola Bassani, è autore del libro Don Lorenzo Milani, con la mente aperta ed il cuore accogliente.

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