Don Nembrini insieme a don Virgilio Cocco
Don Eugenio Nembrini: malattia e speranza
La testimonianza. Il sacerdote a Nuoro. L’esperienza dell’associazione Quadratini & Carità
di Francesco Mariani

17 Aprile 2024

5' di lettura

L’associazione Quadratini & Carità ha lo scopo di sostenere moralmente e materialmente gli ammalati, specialmente quelli in situazione di gravità, e le loro famiglie. Nasce dall’esperienza della Santa Messa celebrata quotidianamente in videoconferenza da don Eugenio Nembrini. Raccoglie da tutta Italia e dall’estero un gruppo di persone che condividono la stessa condizione di malattia personale o di assistenza a disabili e anziani. Al termine della Messa c’è un breve momento di dialogo, in cui i nuovi arrivati si presentano e si condivide la vita: domande, difficoltà, fatiche, ma anche gioie della propria condizione di malati o caregiver. I Quadratini sono le immagini dei malati che seguono la Messa.

Nei giorni scorsi, don Nembrini è venuto a Nuoro per trovare don Virgilio Cocco che da due anni segue la sua messa. È stata l’occasione per intervistarlo. 

Com’è nata questa esperienza? 
«In un modo simpaticissimo. Non prevista, non organizzata, non immaginata. L’amica Rosa, tre anni fa, prima di Natale, mi chiama e mi dice, ascolta, sono a casa con la mamma, non possiamo andare in chiesa, la mamma non può più, io devo stare qui ad accudirla. Se qualche volta celebri messa da solo, collega anche me, che almeno ci salutiamo, leggo la lettura, diventa Messa un po’ più partecipata. La prima Messa nasce così, ma subito, sia io sia lei, ci siamo domandati, ma chissà quanta gente è nelle tue stesse condizioni. Quindi abbiamo pensato che c’è l’Enrico Craighiero a Varese, c’è Zatto a Rimini, ci sono venute in mente subito alcune persone e in un mese da noi due è diventata una messa per una ventina di persone. Poi il passaparola, il renderci conto che non era solo una Messa, ma l’operare del Mistero. Dio nella sua intelligenza usava questa Messa per costruire tanto. Soprattutto, la gente comincia ad essere lieta, serena, abbraccia la circostanza, la malattia. Ci si è resi conto che forse ancora di più che per gli ammalati, perché l’ammalato alla fine a un certo punto abbraccia la sua circostanza se è voluto bene, amato, invece ci sono tutta una serie di persone che stanno con gli ammalati e sentono il peso di quella malattia, più ancora dell’ammalato». 

Tu spesso dici che ognuno di noi è speranza per se stesso e per gli altri. Come può essere un malato speranza per se stesso e per gli altri? 
«È una grande domanda: perché uno dovrebbe dire che un malato è uno sfigato, Lo dico anche oggi, siamo qui con don Virgilio, e tu lo guardi in faccia e vi leggi letizia, pace, speranza, o no? Come è possibile? Io questo non lo so, io non te lo so spiegare, però ti posso dire che in questi tre anni ho visto centinaia di situazioni in cui l’ultima parola non è né la malattia, la circostanza tosta che ti tocca, ma qualcosa di più potente. C’è solo una cosa più potente della malattia: nostro Signore che si rende presente. Quando Cristo si rende presente, quindi è un lavoro che fa lui, non io, succede questa roba stupenda. Sono tanti gli amici che vado a trovare e a tutti dico guarda che io non vengo per te vengo per me perché guardandoti ricevo un gusto, una speranza, una certezza che tante volte io, che non sono ammalato, invece non ho e guardando te lo scopro».

«Misterio eterno dell’essere nostro», direbbe Leopardi. La malattia è capace di far venire a galla proprio il mistero della nostra esistenza.
«Esatto. E questo è in fondo quello che ti preme. Io sono stato in Kazakistan. Abbiamo passato mesi senza riscaldamento o senza acqua. A 50 gradi sotto zero. È tosta. Io a Bergamo non ho mai ringraziato per l’acqua. Non mi sono mai trovato a ringraziare Dio per il dono dell’acqua. Là, quando mi mancava, ne sentivo tutto il bisogno. Metti l’acqua o metti la salute, cioè la caratteristica della malattia o del bisogno che siamo e fa emergere a dismisura che noi siamo fatti per la felicità. Non vedendola esplode la grande domanda. Ci sono tanti ammalati che non sorridono, c’è chi è triste, chi se la prende con Dio, chi dice “ma io non ho mai fatto niente di male e allora perché mi dai questa prova?” Emergono domande, cioè emerge la consistenza dell’uomo che è bisogno. Poi se a questo bisogno corrisponde il mistero, Gesù vivo che si rende presente, allora inizia il paradiso in terra. Certo se quando la domanda si fa così urgente e non trova risposta la vita diventa durissima. Perché avere un grido enorme senza risposta è la disperazione».

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