Memento Mori
di Angelo Sirca
4 Giugno 2024

Mario Mori, 85 anni, generale dei carabinieri in pensione ha trascorso gli ultimi decenni nelle aule dei tribunali per difendersi da accuse infamanti: essere organico alla mafia e avere con la stessa trattato le condizioni di un possibile armistizio negli anni delle stragi. Più volte il generale è stato assolto, ma qualche procura trova sempre il modo per accusarlo delle peggiori nefandezze. Chi vuole ripulire le fogne deve avere a che fare con la melma. Per il ruolo ricoperto è normale che Mori abbia avuto contatti con pezzi della delinquenza organizzata, ciò non significa connivenza o partecipazione ad attività criminali. Collaboratore di Falcone, si trovò in prima linea durante l’estate ‘92. Siamo in un tornante storico delicato, con la politica screditata dalla bufera di Tangentopoli e una mafia che sfida apertamente uno Stato debole e incerto. 

I politici che non hanno mantenuto le promesse (vedi Lima), i ricchi fiancheggiatori della mafia (Ignazio Salvo) vengono fatti fuori. Mori con i suoi collaboratori prova a contattare l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Il figlio del quale anni dopo venne portato in processione come nuovo oracolo di Delfi, dandogli credito smisurato, da Michele Santoro perché le balle che raccontava andavano a corroborare le idee santoriane di uno Stato colluso con la mafia quando non mafioso tout court. Tutto è finito nel dimenticatoio quando si è appurato che il giovane Ciancimino raccontasse frottole pro domo sua

Con Ciancimino senior (definito da Giovanni Falcone: il più mafioso dei politici e il più politico dei mafiosi), si hanno degli abboccamenti ma non un negoziato, almeno così stabiliscono varie sentenze. Nel gennaio ’93 viene catturato, dopo decenni di latitanza, Totò Riina, un’accusa mossa al Ros è di non aver perquisito subito l’abitazione del capomafia. Circostanza opaca ma che non ha portato a vedervi dolo o interesse personale del personale dell’Arma.

Il generale Mori non è un novello San Francesco ma nemmeno, perché questo le varie sentenze hanno stabilito, un traditore e spergiuro. Chi scrive pensa che quando si sia appurata la colpevolezza uno debba scontare la pena senza troppi benefici. Ma è anche convinto che, in uno stato di diritto, un cittadino dichiarato innocente deve essere lasciato in pace. I teoremi, le elucubrazioni, le supposizioni non si possono fare a cuor leggero sulla pelle dei cittadini. La magistratura in questo Paese ha perso alcuni dei suoi uomini migliori nell’adempimento del dovere, e nessuno deve mai dimenticarlo. Ma proprio per questo, non onorano le vittime i giudici che agiscono mossi da intenti politici o che vogliono riscrivere la storia italiana a colpi di sentenze. Una delle questioni più oscure e torbide è il processo agli autori dell’attentato al giudice Borsellino: depistaggi, confessioni estorte, piccoli ladruncoli debosciati fatti passare per responsabili di uno dei fatti più tragici della storia repubblicana. Ebbene, queste inverosimili accuse hanno retto a diversi gradi di giudizio, le testimonianze fasulle degli scalzacani di cui sopra sono state erroneamente vagliate da decine di magistrati, alcuni dei quali ancora pontificano senza un minimo di pudore. 

Un comico siciliano diceva: siamo ottimisti, ormai la mafia ha i secoli contati. Il fenomeno come tutte le cose umane dovrà pur finire (e questo lo affermava Giovanni Falcone) nel frattempo non si può, però, fare giustizia anche se perisce il mondo, ma come disse Hegel: Fiat iustitia nec pereat mundi (sia fatta giustizia affinché non perisca il mondo).

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