La “rivincita” di Dio
di Nando Buffoni
12 Ottobre 2023

Il titolo non è mio. L’ho ricavato dal dibattito della prima parte del secolo scorso quando “elite” intellettuali avevano profetizzato che la modernizzazione, accompagnata dalla diffusione di ideologie atee avrebbero non soltanto oscurato ma eliminato la religione come elemento di guida e condotta della convivenza umana. Gli avversari di questa tesi ritenevano che una tale situazione avrebbe avuto conseguenze tragiche per l’umanità. Fra i più autorevoli, Thomas S. Eliot, scrittore e poeta americano, naturalizzato inglese, vissuto tra la fine del XIX secolo e gli anni ’60 del XX, Premio Nobel per la Letteratura nel 1948. Eliot, anglicano cattolico, riteneva che «se non avrai Dio (e Lui è un Dio geloso) allora dovrai ossequiare Hitler o Stalin». L’aveva espresso nella Idea of a Christian Society (1940), tradotta in italiano (L’Idea di una Società Cristiana, Edizioni Comunità, Milano, 1983). 

Gelosia e libertà
Le virgolette nel titolo le ho inserite io, per caratterizzare l’interpretazione di un concetto che mi aveva disturbato quando, da giovane, ne ero venuto a conoscenza ma che, poi, avevo sepolto nel deposito della memoria. È riemerso, dopo un lunghissimo periodo di “sonno”, nell’ambito di alcune riflessioni sull’andamento, travagliato e sempre più complesso, dell’economia nel pianeta a partire dall’ultimo quarto del secolo scorso (diciamo, nel periodo del tragico aumento del prezzo del petrolio, agli inizi degli anni ’70). Il termine “Rivincita” mi aveva disturbato perché Dio ha sempre dato all’uomo la libertà di scelta e la “gelosia” del Dio di cui parla Eliot, ricavata dal Vecchio Testamento (Esodo, 20-5) mi aveva infastidito. I riferimenti alla “gelosia” e alla vendetta di Dio nel Vecchio Testamento sono moltissimi (sono presenti anche nel Nuovo Testamento, ad es. nelle lettere alle prime comunità cristiane: Giacomo, Paolo 1 Corinzi, Romani, etc.). Il tema è stato trattato in migliaia di pagine e non è il luogo per avventurarsi, a chi non ha la competenza, in questo campo, a dir poco…minato! Confesso che le spiegazioni, in qualche occasione, mi sono sembrate molto banali!

Ma, Dio, ha bisogno di “rivincite”? Perché, è forse Dio in “competizione”? Con “Chi” e per “Che cosa”? Dette così sembrano espressioni prive di senso. Per “competere” bisogna essere almeno in due, contrapposti. Mettiamola, così: è l’uomo che si vuole contrapporre a Dio. È l’uomo che cerca la competizione con Dio. Per scacciarLo, per sostituirsi a Lui. E la risposta? Dio lo lascia fare. L’uomo ha libertà completa. Ma, allora, la “rivincita”? Significa forse che Dio era stato sconfitto? Che ha cercato la “rivalsa”? 

Non entro nell’interminabile (e di utilità contingente?) dibattito che continuerà fino alla fine del mondo e la butto giù così: l’uomo si è creato il problema da solo. La “rivincita” di Dio sta nel fatto che quando l’uomo non sa come “cavarne i piedi” o come risolvere problemi che lui stesso ha prodotto (provocato) “si arrende”, come gesto di disperazione, cui segue (può seguire) liberamente, una apertura ad “affidarsi” (un atto di fede). 

La rivolta verso Dio
La rivolta dell’uomo verso Dio, nel mondo contemporaneo, si manifesta in tre modi: contro il Prossimo e contro sé stesso, contro la Creazione e, ancor più direttamente, contro il Creatore, con la negazione della Sua esistenza. Nel secolo scorso, l’umanità ha vissuto quanto di più tragico, drammatico, distruttivo, malefico, catastrofico, si potesse immaginare. Si sono concentrati, in quei cento anni, secoli eruzioni di disumanità, di odio, distruzioni e respingimenti, che sono in parte rifluiti in questo scorcio di secolo. Si sono succedute tregue, false riappacificazioni, più spesso per guadagnare tempo e riprendere i conflitti. Sono sorte e si sono estinti movimenti che hanno squilibrato il mondo nel nome dell’eguaglianza e della pace; sono nati, hanno operato e non si sono estinti, movimenti che proclamavano le supremazie razziali; sono stati creati nuovi stati nel nome dei diritti universali dell’uomo ma i diritti sono in gran parte soppressi o ridotti e sono appannaggio di un ristretto numero di stati (che continuano ad arricchirsi e imporsi) mentre la stragrande maggioranza degli stati  in situazioni di fragilità sociale, economica e politica nei quali il disagio e gli squilibri di giustizia e diseguaglianza  confinano con il degrado. Se questo è stato il destino desiderato dall’uomo, il risultato è disumano.

Il mito della crescita
In questi anni, soltanto in pochi si sono resi conto che la Crescita economica come espressione e misura di Successo, è un falso indicatore, perché porta con sé anche tutti i fattori che creano le Fragilità (politiche-economiche-sociali) squilibranti in tutte le comunità, ricche e povere, grandi e piccole. Invito a scegliere qualsiasi paese del pianeta, ovviamente fra quelli ritenuti “di successo”, i quali siano esenti da rilevanti elementi di Fragilità in uno o più aree: Politica, Economica, Sociale e che contenga in questi campi gli elementi della “sostenibilità”, che, come è noto, è stato introdotto negli anni ’80 e adottato dalle Nazioni Unite dagli inizi del 2000. L’Italia vi ha aderito con il solito ritardo e vi ha aderito anche la Sardegna che ha testimoniato l’adesione con il Programma della Regione Sarda “Sardegna 2030”. Adesione soltanto formale, purtroppo, come hanno fatto quasi tutti i paesi, a iniziare dai più ricchi. Il contenuto della “sostenibilità”, comporta che è nostro dovere trasferire in eredità alle prossime generazioni un pianeta in eguali o migliori “condizioni” di quello ereditato dalla nostra generazione! I risultati, finora, sono, tra “deludenti” e “sconcertanti”.  Gli squilibri economici e sociali sono aggravati dall’ intensificarsi di squilibri climatici di cui parte “dominante” dell’umanità non ne riconosce la responsabilità, nonostante il generale accordo degli scienziati. È una umanità che non riconosce Dio e, quindi, non può attribuirGli di aver determinato le tragedie che la investono e di cui essa (umanità) non si assume le responsabilità. Per trovare una “via d’uscita”, una scappatoia, l’uomo ricorre a un “sotterfugio”, dico io. Per creare la pace nel mondo, superare la povertà, le diseguaglianze, sconfiggere le malattie, applicare la giustizia, attuare la libertà, insomma creare un “villaggio globale”, con un ordine sociale nel quale la persona umana rivesta un ruolo centrale, è necessario superare tutti i freni e gli intralci che creano quel sistema di vita che, in forma semplificata ma efficace, è stato definito “questa economia uccide” (Francesco). In realtà l’economia è la manifestazione dei principi e dei valori che animano la nostra società. 

I pilastri della sostenibilità
Ebbene, la “via d’uscita” (indicata da alcuni “profeti laici” negli anni ‘80, sulla quale, in via di principio, tutti i capi di stato e di governo, hanno dichiarato di concordare) passa per la “Sostenibilità” che, guarda caso, incorpora principi del Cristianesimo esposti diffusamente nella Dottrina Sociale della Chiesa: il Prossimo e la Creazione, che sono pilastri della Sostenibilità. Non è strano, quasi paradossale, che mentre rinneghiamo Dio (non riconoscerLo conduce a respingerNe l’esistenza), progettiamo di adottare principi e valori che sono trasmessi negli insegnamenti, ampiamente ignorati o disattesi? La “Rivincita” di Dio, per me, è questa. Mi riporta alla memoria quel caso dell’automobilista che non presta fede al telefonino satellitare che indica l’esistenza di un’autostrada in perfette condizioni di percorribilità. L’automobilista si ostina a cercare soluzioni proprie tra sentieri scoscesi, impercorribili e ponti franati, per poi scoprire, sperduto, per indicazione di un “indigeno”, che una strada percorribile esiste e la indicava, appunto, il telefonino satellitare, di cui non si fida! “Rivincita” di Dio, o scoperta di “impotenza” da parte dell’automobilista a trovare la strada che lo porti a destinazione, senza l’impiego “dell’aggeggio”?  A questo punto, mi viene naturale il riferimento a Trilussa, il famoso poeta “mangiapreti” romano, di cui forse non tutti conoscono questi versi.

Quella vecchietta cieca che incontrai/La sera che me spersi drento ar bosco/ me disse: “se la strada nun la sai/ Te ci accompagno io, chè la conosco.

Se c’iai la forza de venimme appresso/ De tanto en tanto te darò ‘na voce/ Fino là in fonno, dove c’è un cipresso/ Fino là lassù in cima, dove c’è la Croce”….

Io risposi: “Sarà…ma trovo strano/ Che me possa guidà chi nun ce vede”…/ La cieca allora me pijò la mano/ E sospirò “Cammina!”- Era la Fede.

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